Lungo la strada
di Donatello Cirone

I cani di Elda latravano, mordevano la rete del recinto, saltavano. Abbaiavano come se per il mondo non ci fosse più speranza, un canto mortale. Note divelte dai denti marci. Le civette ferme sui rami secchi vivevano con indifferenza, i libri sistemati sugli scaffali vibravano come sonagli magici, Luisa vomitava. La strada per la città era buia, non asfaltata, costeggiata da potenti querce secolari, scendeva verso le luci, il chiasso, le urla, la stazione, i treni pieni di speranza, verso la piazza e la farmacia, verso il palco montato per il comizio, verso i cessi pubblici dove Renzo per pochi spiccioli concedeva gusto e tatto, verso il bar Lumache e verso la vecchia casa di Elda, la casa dei suoi, dove era cresciuta. La strada portava anche verso casa di Luisa prima che si trasferisse sul monte con Elda e i suoi cani, i libri e le borse ricamate da nonna Elvira. Il campanile del ‘700 era stato abbattuto per volere della Signora Scialli, la moglie del medico, la madre del farmacista, la figlia del sindaco, la sorella del segretario comunale, la nipote del presidente del club di canasta, dopo che era inciampata a uno dei suoi angoli. La chiesa orfana del campanile, in silenzio scandiva il tempo, un grido sordo richiamava alla funzione della domenica, qualcuno di notte, con il cuore colmo di paura, portava dei fiori dove prima era costruito il campanile. Le tre campane erano stato portate a casa di Zante Fiorini, un cugino del sindaco. Le case erano ammassate uno sopra l’altra come una grande e magnifica orgia, corpi nudi, uno dentro l’altro, un quadro meraviglioso. Una grande figura che si stagliava nel cielo bianco e colmo di neve, ai suoi bordi erano stati relegati I persi, così li chiamava padre Perfetti, fratello segreto della Signora Scialli, vivevano abbandonati a loro stessi e alla loro bellezza. Monica si era innamorata, Mario aveva contraddetto il segretario comunale, Branislav non era nato fra i candidi monti dove erano nati tutti e Abdullah aveva un nome troppo strano. Abou era troppo alto. Tutti si potevano recare in città dopo le sette e solo a giorni alterni. La legge la faceva rispettare la moglie di Ettore, il farmacista, girava in città a cavallo, vestita di pelle nera, una grande frusta e uno strano manganello colorato attaccato alla cintura, gli occhiali neri, tacco 14, alcune strane fessure all’altezza del pube e dei capezzoli disegnavano con eleganza la sua uniforme, il cavallo era docile e mansueto, tenuto dalle briglie con forza e determinazione. Mai nessuno aveva alzato la voce o toccato il mezzo busto del sindaco che si ergeva in fondo alla piazza, nessuno aveva rubato mai pecore o vitelli, tutto era calmo. Una pace gravida di violenza si adagiava come neve fra le strette stradine della città, tutti aspettavano qualcosa, qualcuno, un segno della natura o di un Dio sconosciuto, tutti aspettavano mentre Elda e Luisa in alto, fuori dalla città, al buio, tenendosi la mano, vivevano.