Numero Embrione

L’inesistente gatto di Elisa

di Donatello Cirone

 

 La città dei gatti di Andrea Butera

La stanza di Elisa era sempre stata accogliente. Quella stanza aveva visto sempre ospiti diversi, uomini che si aggiravano per quella camera disordinata e polverosa. Mai un uomo era stato più di una volta fra quelle pareti, l’unica costante era il respiro di Elisa.
Quel buco bastava a Elisa: una camera, un bagno e una mezza cucina. Un monolocale di 27 m², tre vani. La sua camera l’aveva dipinta di rosso, la cucina di azzurro e il bagno era nero, tutto nero anche il cesso, il lavandino e il piatto doccia. Nella cucina c’era un tavolo giallo con due sedie viola. La gigantografia grandezza naturale di suo padre prendeva tutta la parete alle spalle del tavolo. Il resto delle pareti era nudo, nessun quadro e nessuna mensola. La camera era bella, colorata di rosso: il letto da un piazza e mezza occupava più della metà della stanza. Ogni domenica mattina cambiava le federe e ne metteva  un paio sempre di lino e sempre colorate, la nauseava annusare l’inesistente puzza del sudore lasciato lì dallo sconosciuto di turno ospite per una notte del suo letto, ospite del sabato.
Lavorava dal lunedì al venerdì, turno da dieci ore. Da bambina Elisa voleva indossare il camice e fare la dottoressa. Da grande indossava il camice blu dell’impresa Clear. Impresa di pulizia. Il suo stetoscopio era una scopa mezza rotta, il resto della sua vita era tutta chiusa in una scatola nascosta sotto l’armadio della casa paterna.
La sua settimana era scandita da cinque grandi palazzi. Lunedì in Via Pietro Manzoni, civici 103-176, lì non sopportava due inquilini: uno era l’Ingegner Dino Frascotti, uno squallido porco settantenne, con il viagra sempre in tasca. Una volta le palpò il culo, non poté neppure lamentarsi, il sudicio era un socio della sua ditta, aveva da mantenere una casa, i vizi e il gatto. L’altro inquilino insopportabile era la signora Nara degli Esponsi da Ficchiana, una ricca e libidinosa duchessa sulla cinquantina che si divertiva a passare e ripassare sul pavimento appena lavato, per il sol gusto sadico di vederla sbuffare.
Il martedì era un giorno tranquillo, a lei era dato il compito di pulire i tre ascensori e di lustrare lo scorrimano. In tre anni mai nessuno l’aveva trattata male, anzi in quel palazzo regnava una calma ed una pace sconosciuti.
Il palazzo in via de Fannulloni era un palazzo extralusso abitato solamente da quadri e dirigenti di un’importante multinazionale. Passavano veloci sempre con l’auricolare bluetooth attaccato, non si accorgevano mai di lei, rischiava alcune volte perfino di essere schiacciata da quegl’omoni grossi, paffuti e tirati che passavano veloci.
Il giovedì era il turno del palazzo dei cristalli, così lo rinominò Elisa, tutto era di vetro, l’ingresso luccicava: il tavolo, le pareti, le sedie, la scrivania del portiere. Sembrava di stare in una scultura di ghiaccio tipica dei paesi del Nord.
Doveva pulire con attenzione medica tutto l’ingresso con uno speciale prodotto ed una pezza ricavata dal pelo di alpaca. Il portiere era una sorta di maniaco-voyeur  che la fissava di nascosto, a Elisa sembrava quasi che quel morboso sguardo le palpasse i seni ed il resto, per questo non metteva mai camicette o magliette scollate, aveva paura di Rocco il portiere del palazzo del cristalli.
L’ultimo giorno arrivava a fatica, il così tanto desiderato venerdì si ritornava in centro in via dei Tuffi, al palazzo della famiglia Sigren, una famiglia nobiliare, che nemmeno abitava in quel palazzo enorme. Possedevano diversi palazzi in centro e sparsi per l’Italia, loro però abitavano in Germania.
Era una pacchia, le ore di lavoro effettivo erano un paio poi il resto della giornata la passava in compagnia di Ester in giro a curiosare fra gl’armadi e i mobili antichi, suonavano il pianoforte a coda, cantavano e strimpellavano per tutto il giorno.
A sera tornava sempre felice, si preparava la cena, beveva una delle sue solite tisane e si organizzava meticolosamente il fine settimana.
Il sabato mattina era dedicato al riposo, la sveglia suonava all’una. Il pranzo era pronto in tavola per le due e mezzo. Il pomeriggio era dedicato alla lettura.
Verso le sette e mezza iniziava a prepararsi per la sera, si depilava, poi una bella doccia, sceglieva i vestiti con estrema cura, lisciava i capelli, si truccava ed usciva, aperitivo sempre al solito locale con l’amica di sempre, Dana.
Un paio d’ore in sua compagnia la rilassavano, si confidavano, si elencavano le insoddisfazioni, si raccontavano i vari problemi affrontati durante la settimana e si salutavano. Dana raggiungeva suo marito in un locale nei pressi della stazione, lì bevevano una birra, chiacchieravano sempre tenendosi la mano, come due freschi fidanzatini, poi verso un quarto alle undici passavano per la piscina riprendevano Sara e Gemma, le loro splendide figlie e ritornavano a casa. Le bimbe come ogni sabato crollavano dalla stanchezza, loro preparavano dei popcorn con del burro, si mettevano sul divano, guardavano un film e facevano l’amore. Dana ogni volta si commuoveva, le sembrava di fare l’amore per la prima volta, era così tenero suo marito, non aveva mai fatto l’amore con nessun altro uomo. Un padre affettuoso.
Elisa dopo aver salutato Dana ritornava a casa, si lavava di nuovo, cambiava il suo vestito si lisciava di nuovo i capelli, cambiava la tonalità del colore del trucco e usciva.
Andava sempre in locali affollati e rumorosi, discoteche o discopub, poi le si avvicinava sempre un ragazzo. Tipo standard, incollato di creme, ben curato, vestito all’ultima moda, tutti le dicevano la stessa demenziale cosa: “Non riesco a toglierti gl’occhi di dosso, sei incantevole”. Elisa sapeva già come comportarsi, poi come un’abile mantide, li portava tutti a casa sua. Tutti convinti d’aver aggiustato la serata, tutti convinti dell’imminente scopata facile, poi una volta lì l’atteggiamento di Elisa cambiava, era terribilmente sola Elisa. Cercava di sviarli.
Elisa chiedeva solo una notte, chiedeva a quegli sconosciuti un abbraccio che durasse una notte.
Così tutti i sabato Elisa usciva in cerca di un’anima che capisse il suo bisogno, il suo incurabile desiderio d’amore. Sognava di addormentarsi abbracciata da un uomo con il respiro di lui sul suo collo, con le mani incatenate e svegliarsi così, solo una volta.
Nessuno mai rimase a respirarle dietro.


 freccia sinistrafreccia


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