Feuilleton Il passaggio in macchina

di Alessandro Xenos

Parte prima

Pubblicata sul Numero 12

Clima ventilato di Elisa Saracino Incuranti della canicola, centinaia di turisti si ammassavano in cerchio intorno agli artisti di strada sulla piazza della Comédie. Gli indigeni osservavano la scena scambiandosi sguardi a metà tra l’ammirazione per i saltimbanchi e la pena per quei tonti di parigini, come venivano definiti tutti i vacanzieri in ciabatte e abbronzatura da insalata, dalle risate troppo entusiaste per sembrare vere. Proprio davanti a un capannello di inciabattati con la visiera, un gruppo di vecchietti approfittava del fresco dei nebulizzatori del Grand Café ingurgitando pastis a 40° e scommettendo su quanto tempo ci avrebbero messo le belle parigine a liberarsi di quelle facce da lumaca dei loro fidanzati. Frenetici, suscettibili, ma ricchi e facilmente abbindolabili, i parigini erano l’argomento madre di tutte le discussioni da bar, soprattutto da quando un anno prima la squadra della città aveva battuto l’odiato PSG aggiudicandosi il campionato di calcio. Era un lunedì pomeriggio come tanti altri nella lunga estate di Montpellier.

Da quando vi si era trasferita, Claire aveva cambiato le proprie abitudini e ormai non riusciva più a concepire l’impazienza tipica della capitale. Aveva imparato a godersi i momenti di noia, a ridere delle proprie sventure e a procrastinare in maniera razionale tutti gli impegni sgradevoli che la sua età le imponeva. Appena laureata in storia contemporanea, aveva deciso di approfittare dei mesi estivi per andare a trovare tutte le persone che conosceva nel raggio di 1000 km prima di mettersi alla ricerca di un lavoro, che tanto, sapeva, non avrebbe trovato continuando a stare al Sud. Come prima tappa aveva previsto di tornare nella banlieue parigina per festeggiare i suoi 25 anni in famiglia, ma come al solito aveva scelto di non occuparsi dell’acquisto del biglietto del treno fino al giorno della partenza. Qualcuno avrebbe avuto un imprevisto dell’ultimo minuto e le avrebbe venduto il proprio biglietto a un prezzo stracciato. Evidentemente quel giorno anche le disavventure erano in vacanza perché Claire passò quasi due ore seduta al Grand Café a cercare annunci online senza successo. Convinta della necessità di riformulare la sua teoria sulla procrastinazione razionale, spostò le sue ricerche su un sito di covoiturage, come chiamano in Francia questo tipo di community di conducenti e passeggeri pronti a condividere un po’ di tempo con un perfetto sconosciuto per risparmiare qualche euro sulle spese di un tragitto in auto. Non dovette cercare molto, il primo annuncio sembrava fatto per lei: Nicolas, 23 anni, conducente esperto, tragitto Montpellier-Parigi, tempo stimato 8 ore. Perfetto, pensò, lo chiamo subito.

– Pronto Nicolas?
– Sì?
– Ciao, sono Claire, ho visto il tuo annuncio per il tragitto Montpellier-Parigi delle 4. Hai ancora posto?
– Sì sì…dove abiti?
– Sto a Figuerolles, ma in questo momento sono in centro, dimmi te dove ti torna più comodo incontrarsi.
– A Figuerolles va benissimo, io sto lì vicino. Ci vediamo in piazza Salengro davanti al panetterie?
– Qual è la piazza Salengro?
– Quella dove fanno il mercato…
– Ahhh! E dillo subito, mica lavoro al Runner Pizza! (risata compiaciuta) … scherzo dai, è che non riesco mai a memorizzare i nomi delle vie. In piazza del mercato va benissimo.
– (Risatina imbarazzata) Ok, allora a dopo.
– A dopo, ciao!

Dai, sembra simpatico, si disse. Chiese il conto facendo il gesto internazionale dell’autografo e sistemò il portatile nello zaino. Pronta, ho il tempo di ripassare a casa per salutare Estelle, la coinquilina, e poi via verso il grigiore parigino.

Parte Seconda

Pubblicata sul Numero 13

Abbraccio di Elisa Saracino
Abbraccio di Elisa Saracino

Aprendo il portone dell’edificio per poco Claire non si fece investire da Adrien, l’inquilino cieco del secondo piano. Adrien aveva l’abitudine di scendere le scale di corsa canticchiando arie di opere ottocentesche senza prestare attenzione agli eventuali rischi per sé e per gli altri. Esperto di informatica, pianista, cantante con una certa predilezione per il falsetto, consumatore assiduo di cannabis e vino rosso, omosessuale senza complessi, Adrien era senza dubbio il personaggio più sgangherato e interessante del palazzo.

– Adrien! Sempre di corsa, eh?!
– Oh Claire, per poco non ti schioccavo un bacio sulla bocca, che ti sei messa un profumo da uomo?
– No, sì, cioè, stanotte ho dormito da un tipo e gli ho fregato un po’ di deodorante.
– E?
– Un disastro.
– Niente?
– Macché, tra lui e il comodino non so chi fosse più statico.
– Io invece ne ho portato a casa uno talmente dolce!
– Ah si, mi ha scritto Estelle per dirmi che stanotte sembrava di assistere a una rappresentazione della Carmen. Penso che tutto il quartiere si sia accorto di quanto fosse dolce! Comunque non capisco come fai a trovare dei tipi così su Prestazioni sessuali gratuite e consenzienti io ho sempre una sfiga mitologica.
– Guarda che la sfortuna non era cieca neanche per gli antichi greci! Dovresti interessarti a loro prima di profonderti in estenuanti monologhi sulle difficoltà della tua vita adolescenziale.
– Hey!! Va bene, forse è vero che parlo troppo dei miei problemi, ma non puoi dire che non sia curiosa. Prima di contattare un ragazzo guardo i suoi interessi, le sue foto, le foto dei suoi amici, mi faccio un’idea del tipo, ma poi costantemente si rivela esattamente il contrario. Te come fai a scegliere ché non puoi nemmeno vederne il profilo?
– Mi bastano due o tre domande per capire se è un cretino. E poi senti, non ci sono tanti gay disposti a passare la notte con un cieco alcolizzato, il mio campo d’azione è piuttosto ristretto. Tra un mese mi toccherà ancora cambiare città! (risata fragorosa)
– Eh, davvero! Ah sì, a proposito, non te l’avevo ancora detto: tra un’ora vado a Parigi, ho trovato un  passaggio in macchina. Poi da lì mi sposterò per andare a trovare un po’ di amici in giro per la Francia.
– Brava, ti ci voleva una pausa dopo quest’anno di intenso studio! (risatina)
– Molto simpatico! A dire il vero ne ho proprio bisogno, voglio capire dove andare a battere la testa dopo questa maledetta laurea. Comunque, quando torno ci facciamo una cenetta con Estelle?
– Molto volentieri, penso che Estelle ne avrà bisogno visto il tenore della sua telefonata di stamattina. Non capisco lo spagnolo, ma mi sembra di aver capito che con Sebastian non vada molto bene. Credo che se ne sia andata sbattendo la porta.

In effetti, entrando nell’appartamento Claire trovò il salotto in disordine e un bigliettino sul tavolo con poche righe in cui Estelle si scusava per non aver fatto le pulizie e per non poterla salutare prima della partenza. Aveva scoperto delle cose assurde su Sebastian e voleva vederlo al più presto per chiedergli delle spiegazioni. L’avrebbe chiamata in serata per raccontarle tutto.

Sul divano trovò un bloc-notes pieno di insulti in spagnolo e un nome, “Miguel Negredo”, ben sottolineato col pennarello. Pensò che questo Miguel si sarebbe dovuto nascondere o fuggire molto lontano per non incappare nell’ira leggendaria di Estelle. Con una madre andalusa e un padre corso, aveva ereditato un carattere a dir poco passionale. Era sempre radiosa e poteva esprimere una dolcezza senza paragoni, ma a volte bastava un niente per mandarla su tutte le furie e quando succedeva non era consigliabile restare nel suo campo visivo. Non era violenta, ma era dotata di una voce talmente acuta e potente che in quei momenti anche un complimento sarebbe uscito fuori come un insulto. Inoltre, da quando abitava a Figuerolles aveva fatto amicizia con le due bande, tra loro rivali, del quartiere. Da una parte i gitani della cité Polie, con cui aveva un’affinità culturale grazie alle sue origini andaluse, e dall’altra il gruppo di arabi che controllavano la piazza, con i quali invece si divertiva a parlare di politica e di infedeltà femminile. Insomma, tutti la rispettavano e se qualcuno le avesse fatto del male sicuramente avrebbero lanciato una caccia all’uomo per ritrovarla. Era sveglia Estelle, non si sarebbe dovuta preoccupare per lei, pensò Claire.

Così, con lo zaino rigonfio di vestiti autunnali scese in strada e si diresse verso la piazza Salengro. Il mercato era finito da qualche ora e sulla piazza giacevano resti di frutta e verdura e carcasse di legno lacerate dal passaggio dei camion. Sui cigli dei marciapiedi un gruppetto di senzatetto recuperava senza fretta gli invenduti, mentre le automobili freneticamente si rimpossessavano dei parcheggi.

Claire si sedette sul bordo della vetrina del panettiere e tirò fuori il telefono per verificare se il ragazzo dell’annuncio avesse specificato il tipo di veicolo. Sì, una Mercedes Vito. Non sapeva esattamente di che modello si trattasse, ma si disse che in una Mercedes sicuramente sarebbe stata comoda. Quando vide arrivare la vettura però un piccolo brivido le traversò la schiena. Si trattava di un furgoncino grigio a tre porte con i vetri posteriori oscurati. Alla guida c’era un ragazzo magro, pallido e con i capelli tirati all’indietro, che dimostrava almeno quarant’anni. Non può essere lui, pensò. Invece il ragazzo si fermò davanti al panettiere e con un sorriso cortese le chiese se fosse proprio lei Claire. Avrebbe voluto dire di no, che non si chiamava Claire, il suo nome era Athena e non parlava francese, scusi, arrivederci. Quello strano furgoncino e quel suo viso da addetto al trasporto funebre non le ispiravano niente di buono. Ma non ne ebbe il coraggio. Si alzò in piedi e con un sorriso forzato si avvicinò al ragazzo per lo scambio di baci rituale.

Parte terza

Pubblicata sul Numero 14

Karma di Elisa Saracino

Dall’alto del suo metro e novantotto, Nicolas la scrutava con un’aria enigmatica. Aveva certamente la sensazione di impressionarla, ma non riusciva a capire se ti trattasse di un’impressione positiva. Spero che la mia altezza non la metta in soggezione, pensò.

In effetti Claire, che era alta all’incirca un metro e un barattolo, si era piantata davanti all’auto con la bocca semi aperta, la fronte grinza e le sopracciglia inarcate. Non era una persona facilmente impressionabile, ma il furgoncino e lo sguardo vitreo ricoperto da una foresta di sopracciglia di Nicolas le davano da pensare. Come spesso le capitava in queste occasioni, analizzò rapidamente gli elementi a sua disposizione e formulò due ipotesi sullo svolgimento futuro degli eventi:

  1. E’ un trasportatore funebre e nel bagagliaio c’è una bara piena: il mio zaino viaggerà accanto a un morto.
  2. E’ un trasportatore funebre psicopatico e la bara è vuota: presto il mio zaino viaggerà accanto al mio cadavere.

Mentre rifletteva a questi scenari poco rassicuranti non si accorse di aver porto con un gesto automatico lo zaino al ragazzo. Se ne rese conto quando sentì sbattere la portiera, ma ormai era troppo tardi per poter dare uno sguardo al retro del furgoncino. Volle accennare un “ma non ce n’è bisogno, posso tenerlo tra le gambe”, ma le parole le si strozzarono in gola ripensando alla seconda ipotesi appena formulata. Lui gentilmente le fece segno di salire.

A questo punto non ebbe altra scelta che sistemarsi sul sedile anteriore fingendo di sentirsi a proprio agio. Provò ad abbozzare un sorriso, ma ne venne fuori un grugno a trentadue denti e un suono acuto stile grido di Wilhelm. Senza prestarvi troppa attenzione, Nicolas accese il motore e si immise cautamente nel traffico dell’avenue Gambetta.

Claire notò subito alcune cose. Gli interni erano tenuti perfettamente, non c’era un angolo di sporcizia o un oggetto fuori posto, l’auto sembrava appena uscita dal concessionario. La temperatura nell’abitacolo doveva essere di almeno 15 gradi inferiore a quella esterna a causa dell’aria condizionata sparata al massimo dalle bocchette. Il deodorante sullo specchietto retrovisore emanava un nauseante odore di lavanda che infestava l’aria. Nessuno di questi dettagli la rassicurò. Si disse che avrebbe dovuto ingraziarselo per saperne di più sulla sua vita. Se qualcosa non le tornava sarebbe fuggita alla prima fermata.

Erano passati almeno dieci minuti da quando erano partiti e non l’aveva ancora degnata di uno sguardo. All’imbocco dell’autostrada, Nicolas si decise infine a rivolgerle la parola.

–  Stai comoda?
–  Sì, grazie. E’ proprio una bella macchina, complimenti.
–  Grazie.
– Lo dico seriamente, è comoda e pulita. A volte mi capita di viaggiare in delle specie di lettiere   ambulanti, ma qui mi sento proprio a mio agio. E’ bella spaziosa, chissà quante cose ci puoi trasportare!
– Già, piace anche a me. Viaggi spesso con il covoiturage?
– Sì, almeno una volta al mese da quando sono all’università.
– Ah, vai all’università, e che studi?
– Storia contemporanea, cioè adesso ho finito e devo cercare un lavoro, ma non è facile, non so ancora verso cosa orientarmi. Mi piacerebbe fare della ricerca, ma non credo che riuscirò ad avere un assegno e poi l’ambiente universitario mi ha un po’ stufato. Forse inizierò a fare la cameriera e poi chissà, vedrò.
– Capito.
– E tu? Dai spesso passaggi a degli sconosciuti? (sorriso intrigante)
– Sì, più volte a settimana, dipende dal lavoro.
– Che lavoro fai?
– Consegno materiale.

Avrebbe voluto chiedergli cosa consegnasse, ma il termine “materiale” l’aveva talmente scioccata che non era più sicura di voler sentire la risposta.

– Cioè adesso stai andando a Parigi per consegnare del materiale?
– Sì, esatto, e poi domani mattina tornerò a Montpellier.

Bara piena. Secondo l’ipotesi 1 rimarrò in vita, ma dovrò viaggiare per 750 km con un cadavere nel bagagliaio. Per sicurezza, voglio comunque verificare che non si tratti di uno psicopatico, pensò Claire.

– Ti piace il tuo lavoro?
– Sì, molto, mi piace guidare e poi mi fa sentire utile.
– Ah, immagino. Dev’essere gratificante fare un lavoro che apprezzi. Io non potrei mai stare seduta così tante ore di fila. Anche quando studio ho bisogno di alzarmi almeno una volta all’ora, altrimenti impazzisco, ma credo che tu non possa fare così tante pause.
– No, in effetti quando vado a Parigi mi fermo solo una volta, le consegne devono essere fatte velocemente, altrimenti il materiale si deteriora, ma se vuoi possiamo fare una pausa in più, senza problemi.

Non voglio certo prendermi la responsabilità della deteriorazione del “materiale”. Se vuoi facciamo no stop fino a Parigi, anche a costo di farmela addosso. Non riesco a capire se questo tipo sia dotato o meno di empatia, ma sicuramente non ha tatto.

– Non ti preoccupare, posso resistere qualche ora, ti  va se accendiamo la radio?

Si disse che la musica l’avrebbe distratta per un po’.

Parte quarta

Pubblicata sul Numero 15

Dall'album I cerchi narranti du Luca Cini
i cerchi narranti #3 di Luca Cini

Nel frattempo in rue de la Merci i passanti si erano fermati a guardare una scena piuttosto insolita. Una ragazza esile con i capelli scuri come il Vantablack stava prendendo a calci un portone talmente mal ridotto che sembrava dover venire giù da un momento all’altro.

«Aprite coglioni o vi spacco questo pezzo di legno che chiamate porta! Tu puta madre!!». Era Estelle, in tutto il suo splendore. Il portone apparteneva alla casa in cui vivevano Sebastian e i suoi cinque coinquilini. Il campanello era sempre stato rotto e il telefono di Estelle non aveva più batteria. Data la sua collera, quello le era sembrato il modo più gentile per comunicare la sua presenza. Dall’altra parte del marciapiede un’anziana signora dal viso avvizzito e la schiena ricurva la fissava con un’espressione di disgusto riflettendo all’ipotesi di chiamare la polizia. La “Rabbina”, come l’avevano amicalmente soprannominata i giovani del quartiere a causa dei suoi ricciolini lunghi ai lati e ormai invisibili al centro, abitava due porte più in giù e nonostante la sua quasi completa sordità vigilava senza sosta alla quiete della rue de la Merci. «Le sembra questo il modo di fare signorina?». Lo sguardo infuocato di Estelle la fece tremare a tal punto che il sacchetto della spesa le cadde in terra. Una dozzina di pomodorini rotolarono giù per la discesa fino all’entrata del negozio dov’erano stati comprati. La Rabbina ripartì borbottando imprechi d’altri tempi seguita dallo sguardo discreto di alcune coetanee nascoste dietro le persiane. Estelle aveva già ripreso a gridare:

– Aprite cazzo!
– Piano, oh!! Arrivo, arrivo!

Finalmente la porta si aprì. Ne uscì fuori un viso da sparring partner, gli occhi stretti e le occhiaie da programmatore informatico. La visiera del cappellino del Montpellier Hérault gli  copriva la fronte e quel poco di capelli che gli restavano. L’espressione di Estelle si addolcì tutto d’un tratto.

– Momo!
– Se non sei venuta per dirmi che ho vinto un milione di euro, puoi anche smetterla di tirare calci alla porta.
– Scusa Momo, ma non ho più batteria e sono qui fuori da più di dieci minuti. Com’è che non rispondeva nessuno?
– Siamo tutti su in balcone. Se cerchi Sebastian sappi che è partito ieri e non so quando tornerà.
– Non ti ha detto dove andava?
– No, non l’ha detto. Dai entra, ti offro una birra.

Varcò la soglia a passo di carica convinta di riuscire a fargli confessare qualcosa. Non sarebbe stato facile, ma era necessario insistere perché Momo in quanto unico parrucchiere per uomo del  quartiere sapeva sempre tutto di tutti. Era considerato come una sorta di giudice di pace per tutte le questioni “delicate” . Fu lui a nascondere Sebastian quando i gitani gli davano la caccia per via di due motorini rubati. Fu ancora lui a trattare con la Brigata anti criminalità quando volevano portarlo in centrale perché si rifiutava di condividere con loro i ricavi dello spaccio.
Aveva salvato il culo a Sebastian e a molti altri giovani del quartiere in diverse occasioni. Se ne fregava delle questioni etniche e territoriali, quello che più gli teneva a cuore era la propria tranquillità e quella dei suoi cari.
Momo non era di Montpellier, era cresciuto nella periferia nord di Marsiglia, dove l’uso di armi da fuoco era consueto almeno quanto le strisce di cocaina nelle serate dello show business parigino. Era arrivato a Figuerolles dieci anni prima, quando ne aveva diciotto, sperando di poter uscire per sempre da quel mondo di violenza quotidiana. In un certo senso ci era riuscito, perché a Figuerolles si sentiva soltanto l’eco del gran banditismo e a parte qualche episodio sporadico tutti i problemi si risolvevano con un fascio di banconote stretto in mano. In poco tempo aveva raccimolato i soldi per comprare un fondo e diventare parrucchiere. Da allora gli affari gli andavano alla grande. Quando era in forma riusciva a tagliare i capelli a sette clienti in un’ora. Rasava ai lati, tagliava al centro, piccola rasatura sul collo e spennellata finale con la spazzola.
Tutti volevano lo stesso taglio, non c’era bisogno di chiedere. Nonostante la praticità della cosa, Momo cominciava a stancarsi di ripetere costantemente gli stessi movimenti e quando un cliente pretendeva un taglio diverso un piccolo sorriso gli spuntava sull’angolo sinistro della bocca. Fu così che prese in simpatia Sebastian. Il vezzo di quel giovane spagnolo squattrinato che chiedeva i capelli corti davanti e lunghi sulla nuca lo faceva divertire, gli sembrava di fare un tuffo negli anni ’90. Diventarono amici e quando ci fu la possibilità lo fece venire a vivere nella casa di rue de la Merci. Estelle era arrivata qualche anno dopo, ma era riuscita a integrarsi rapidamente al gruppo, anche se in un certo senso si sentiva ancora esclusa.

– Non ne posso più Momo, non mi dice mai niente. Mi chiama per dirmi che parte, ma non mi dice dove va. Affari, affari e sempre affari, ma sono sicura che ha un’altra.
– Ti assicuro che è innamorato perso di te, non ha nessun’altra. Lavora, tutto qui.
– Eh, lavora, lo chiami lavoro? Spaccia, ecco cosa fa, e tu lo copri.
– Stammi bene a sentire, a me non interessa come si guadagna da vivere, sono fatti suoi e non dovresti preoccupartene nemmeno te.
– Chi è Miguel Negredo?

Momo la guardò intensamente negli occhi. La sua espressione si era imbrunita.

– Non lo conosco.
– E questo come me lo spieghi? Era nello zaino di Sebastian.

Tirò fuori un passaporto colombiano con la foto di un uomo calvo sulla cinquantina e un timbro con il visto francese. Momo lo prese tra le mani, lo guardò di sfuggita e lo ripose sul tavolo.

– Non so chi sia, ma fossi in te lo ridarei a Sebastian.

Estelle riprese il passaporto e fece per uscire.

– Ok ho capito, non mi vuoi dire niente. Andate a fanculo te e quello stronzo del tuo amico.

Momo non ebbe il tempo di replicare, Estelle era già uscita sbattendo la porta. Tirò fuori il telefono e cercò il numero di Sebastian.

– Oh, dove cazzo sei? È venuta Estelle a chiedere di te, aveva il passaporto del tipo.
– Cazzo! La deve smettere di frugare nelle mie cose! Che le hai detto?
– Niente, le ho detto di restituirtelo.
– Grazie Momo, torno stasera, ci vediamo a casa.
– Ok, ciao.
– Ciao.

Parte quinta

 Pubblicata sul Numero 16

light stripes di Luca Cini
light stripes da “different dimension” di Luca Cini

Per qualche secondo la vista le venne a mancare, la rabbia le gonfiava gli occhi e le tempie. Fu l’abitudine a riportarla a casa quasi priva di forze. Per la prima volta Estelle si sentiva impotente di fronte agli eventi della sua vita. L’uomo con cui aveva condiviso gli ultimi due anni era sparito ancora una volta dietro vaghe parole che avevano l’odore dell’ennesima impostura. Mise in carica il cellulare e si sdraiò sul divano con lo sguardo puntato al soffitto. Ripensò alla telefonata di qualche ora prima, le poche parole scambiate e le sue grida che non sembravano raggiungerlo. Di colpo balzò in piedi e si diresse verso la camera da letto. Rovistò nell’armadio, sotto il materasso, ovunque ci potessero essere oggetti lasciati da Sebastian. Trovò due magliette, una decina di calzini spaiati e un chullo, ma niente che le potesse dare un nuovo indizio. Dette un altro sguardo allo zaino dove aveva trovato il passaporto di Miguel Negredo e scovò due pacchetti di sigarette vuoti comprati ad Andorra. Niente di niente insomma. Tornò in salotto con i pensieri mozzati dal dubbio e istintivamente prese il telefono per chiamare Claire. Sentiva la necessità di parlare con un’amica.

– Ciao Claire.
– Bella, ciao! come stai? che è questa storia, che è successo?
– Non ne so ancora molto, ma c’è di mezzo un tipo colombiano, ho trovato il suo passaporto nello zaino di Sebastian.
– Miguel Negredo?
– Sì, come lo sai?
– Ho letto il foglio che avevi lasciato in salotto, mi sembrava strano infatti.
– Ah, sì, guarda lasciamo stare. Questa storia comincia a preoccuparmi. Sebastian mi dice che se ne va per qualche giorno senza darmi spiegazioni, poi scopro il passaporto e infine Momo che fa finta di non saperne niente.
– Ma di che si tratta?
– Non ne ho la minima idea, Sebastian ti è sembrato diverso ultimamente? Non ti ha detto niente di strano?
– Non che mi ricordi, l’ho visto talmente poco. Ah, aspetta, l’ho incrociato l’altro giorno in piazza Albert I con Momo, stavano litigando, ma quando mi sono avvicinata hanno smesso subito. Non sono riuscita a capire di cosa stavano parlando, ho sentito solo che Momo gridava «ma come cazzo pensi di recuperarla?»
– Ha detto proprio così?
– Si, si, poi mi hanno visto e si sono messi a scherzare.
– Quello stronzo di Momo! Sa tutto e non mi dice niente! È evidente che devono recuperare qualcosa da qualcuno, dell’erba probabilmente. Ma perché Momo si preoccuperebbe tanto? No, no, c’è qualcosa di più. Senti, ti lascio, vado a fare un giro nel quartiere. Tu tutto bene?
– Sì, sì, sono in macchina, sto andando a Parigi.
– Ah già, è vero, come va?
– Tutto bene, mi stavo riposando un po’. Il viaggio è lungo, ma ho trovato un guidatore simpatico.
– Mi fa piacere, dai ci sentiamo, un bacione.
– Baci.

Claire non poteva dirle che anche lei si trovava in una situazione delicata, che stava viaggiando con un morto nel bagagliaio e che il guidatore simpatico era in realtà un trasportatore funebre, probabilmente psicopatico. Quando si girò per guardarlo si accorse che la stava fissando. Il suo sguardo era cambiato, la sua aria vagamente gentile era diventata d’un tratto seria. Per la seconda volta da quando erano partiti le rivolse la parola.

– Era una tua amica?
– Si, la mia coinquilina, perché?
– No, così, sembravi preoccupata. Sta bene?
– Sì, ha qualche problema col suo ragazzo, ma sta bene.
– Ok, meglio così.

Nicolas alzò il volume della musica e tornò a guardare la strada. Stavano passando Almost cut my hair, una canzone che Claire adorava. Questa volta però la musica non bastò a distrarla. Le elucubrazioni sulla storia del passaporto viaggiavano a gran velocità nella sua mente. La conversazione tra Momo e Sebastian, Miguel Negredo, Estelle inquieta come non l’aveva mai sentita prima. Tutto era troppo vago, non riusciva ancora a formulare delle ipotesi coerenti. Inoltre, l’aria inquisitrice di Nicolas non l’aiutava a riflettere, perché si era interessato tanto alla sua conversazione?

In quel momento il telefono appoggiato sul cruscotto suonò brevemente e Claire non poté fare a meno di sbirciare. Un messaggio di Sebastian. Non riuscì a leggerne il contenuto.

Quel Sebastian? No, non è possibile, forse aveva letto male e si trattava di un Sebastien, alla francese. Eppure era sicura di aver letto Sebastian. Ma anche se fosse stato così, chissà quanti ce n’erano in Francia, con tutti gli immigrati spagnoli di prima e di seconda generazione.

Il suo battito accelerava di pari passo con la sua ansia. Nonostante il freddo glaciale dell’abitacolo, delle gocce di sudore cominciarono a formarsi sul suo naso. Guardò l’orologio, le 18. Erano passate solo due ore da quando erano partiti. Cazzo, in che situazione mi sono messa? Scrutò di nuovo Nicolas e quelle sue sopracciglia fitte alla Naruto. Devo fuggire, pensò.

– Ehm, scusa, ma non mi sento tanto bene, ti dispiace se facciamo una pausa?

Il suo sguardo vitreo la fulminò per un attimo.

– Certo, alla prossima area di servizio mi fermo.
– Grazie.

Ormai non aveva più voglia di fare sforzi per essere gentile. Un malessere acido le rimontava l’esofago. Trovare un altro passaggio, chiamare la polizia. Oppure fuggire in direzione della campagna. Non avrebbe fatto notte prima delle 21. Camminando per tre ore avrebbe trovato sicuramente un villaggio. Vide un cartello. Aire de Lafayette a 20 km. Non ho molto tempo. Devo escogitare un piano.

Parte sesta

 Pubblicata sul Numero 17

Apocalisse di Elisa Saracino
Apocalisse di Elisa Saracino

L’arrivo del furgoncino grigio con a bordo Nicolas, Claire e un probabile cadavere nel bagagliaio non fece molto rumore, a quell’ora l’area di servizio era praticamente deserta. All’interno dell’autogrill si trovava solo una coppia di vecchietti, lei arzilla, lui valetudinario, dalle mani consumate e l’intonazione chiassosa della provincia di Nîmes, intenti a comprare una bottiglietta d’acqua a loro dire cara come l’oro. Il commesso, anche lui di una certa età, ma dall’accento molto meno marcato, rispose alla boutade affermando che lui per un po’ d’oro la bottiglietta d’acqua l’avrebbe regalata con piacere. Ma di tutto questo Claire non si accorse varcando l’ingresso principale, stava ancora riflettendo a come avrebbe potuto defilarsi senza dare nell’occhio. Quando vide la borsa che la signora portava a tracolla si ricordò di aver lasciato lo zaino nel retro del furgoncino, si fermò quindi girandosi verso Nicolas.

– Scusami, vorrei cambiarmi per mettermi qualcosa di più pesante, posso prendere lo zaino?

Si disse che sarebbe stata l’occasione per verificare se effettivamente trasportava una bara. Purtroppo Nicolas non le lasciò intravedere niente, aprì appena lo sportello e infilato il busto nel bagagliaio tirò fuori rapidamente lo zaino. Quando richiuse un soffio freddo ne fuoriuscì andandosi ad appoggiare sulle sue braccia nude. Il caldo che pochi minuti l’aveva assalita si estinse d’un colpo e un brivido glaciale che sembrava provenire dall’aldilà la cinse. Se si trattasse di autosuggestione o di un brutale presentimento Claire non poté stabilirlo, ma ebbe la netta sensazione di essere entrata in contatto con il cadavere. Senza volerlo ripensò al corpo di suo zio, deceduto un anno prima, a cui aveva stretto la mano per un lungo istante prima di lasciare la camera ardente in preda a un brutto singulto. Nonostante odiasse quel ramo della famiglia di origine colonialista e bretone, Richard le era sempre stato simpatico, era stato lui a insegnarle a non fidarsi delle apparenze. Un’estate le insegnò anche a pescare i buccini. Questo ricordo inatteso per poco non le fece dimenticare il suo piano. Doveva andare in bagno, aspettare il momento opportuno per fuggire dall’uscita secondaria, salire su una macchina a caso e convincere il conducente a partire il più velocemente possibile. In un certo senso aveva sempre sognato di farlo, ma lo scenario che si profilava non assomigliava di certo a ciò che aveva potuto immaginare.

Guardandosi intorno finalmente constatò che i due vecchietti erano gli unici altri avventori dell’aria di servizio. Il suo piano andava a farsi fottere. Istintivamente si diresse comunque verso il bagno. Rimase chiusa dentro per qualche minuto. L’unica opzione plausibile rimaneva quella di correre in direzione della campagna, ma con lo zaino in spalle, si disse, non sarebbe andata molto veloce. Avrebbe dovuto sparire, farsi invisibile per un centinaio di metri camminando di soppiatto da un nascondiglio all’altro, come una guerrigliera, o quasi. Ma quel lunedì 24 giugno non era decisamente il suo giorno di fortuna. Nell’istante preciso in cui mise la testa fuori dal bagno Nicolas apparve da dietro la macchina del caffè porgendole un bicchiere di plastica rovente.

– Ti ho preso un caffè, non sapendo se lo prendi con lo zucchero ho messo una sola dose.
– Ah, grazie. Di solito lo prendo amaro, ma va benissimo.
– Anche te?
– Sì.
– Bene. Ehm. Alla fine non ti sei cambiata?
– Ah, no, cioè, sì, mi sono messa una maglietta sotto, non ho trovato la giacchetta che cercavo.
– Ok, ti senti meglio?
– Si, va un po’ meglio grazie.

Pensa davvero che facendo finta di interessarsi a me potrà rientrare nelle mie grazie ? Come minimo si aspetta che gli metta un commento positivo sul sito. Certo, scriverò «trasportatore funebre molto gentile, per niente losco, auto profumata e ben climatizzata. Insomma, un viaggio estremamente piacevole, se non vi taglia a pezzetti prima dell’arrivo». Mi chiedo cosa voglia da me.

Persa ogni speranza di fuggire tornò nel furgoncino. Si disse che a questo punto valeva la pena scoprire qualcosa di più su Nicolas. L’istinto le diceva che il messaggio di Sebastian non era una casualità. Proprio in quel momento dallo specchietto retrovisore vide entrare un’auto della polizia  nell’area di servizio. La volante passò la pompa di benzina e si accostò a la loro sinistra. Nicolas non ebbe il tempo di mettere in moto che uno dei poliziotti si avvicinò al finestrino.

–  Buonasera signore, buonasera signora.
–  Buonasera.
–  Potrebbe mostrarmi i suoi documenti e quelli del veicolo?

Nicolas si mise a cercare nel cruscotto, ne tirò fuori il libretto di circolazione e un fascicolo a occhio e croce pieno di moduli prestampati e fatture.

–  Ecco qui, ci sono anche le autorizzazioni per il trasporto del materiale.
–  Grazie, potrebbe scendere e far vedere al mio collega cosa trasporta?

Claire avrebbe voluto scendere per vedere cosa c’era nel retro, ma non ebbe il coraggio di uscire. Lo diranno loro, pensò. Nel frattempo il primo poliziotto era tornato nell’auto per verificare i documenti. A questo punto si trovava sola nell’abitacolo con il cellulare di Nicolas proprio davanti a sé. Nessuno avrebbe potuto vederla. Lo afferrò avidamente e andò subito a leggere l’ultima conversazione:

N. «Tutto a posto, sto partendo»
S.  «Non dare passaggi»
N. «Non ti preoccupare»
N. «Indirizzo?»
S. «14 Impasse dei lillà, Montreuil.»
S. «Tutto ok, ti aspettano per mezzanotte!»

Copiò il numero sul suo telefono e provò a chiamare. Si trattava proprio di quel Sebastian. Si disse che in fin dei conti avrebbe sbagliato a scappare, restando poteva aiutare Estelle a scoprire cosa trafficava il suo ragazzo. Ma cosa c’entrava Nicolas? Cosa trasportava? Rimise a posto il cellulare. Qualche secondo dopo i tre si avvicinarono all’abitacolo. Claire poté ascoltare la conversazione.

– Insomma cosa ci fa con due bare?
– Ve l’ho detto, una è vuota. La devo riportare a Parigi, ne hanno bisogno alla sede, potete verificare se volete.
– Va bene così, però lo zaino lo deve mettere davanti.
– Sì, certo.

(il secondo poliziotto rivolgendosi a Claire) – Signorina, come le è venuto in mente di mettere lo zaino nel retro? Lo sa che è vietato?

– Non lo sapevo, mi scusi.
– Oggi è il suo giorno fortunato, ma se lo ricordi per la prossima volta.
– Sì, è decisamente il mio giorno fortunato.

Parte settima

 Pubblicata sul Numero 18

ma | re #8 di Roberto Pireddu¹
ma | re #8 di Roberto Pireddu¹

Aprendo lo sportello della macchina Nicolas fece cadere le chiavi sotto il sedile, nel rialzarsi batté la testa contro il volante e infine urtò il cambio con il gomito. A Claire sfuggì un sorriso malizioso.

– Nervoso?

Nicolas non rispose, stava seguendo con lo sguardo i movimenti dei poliziotti, voleva accertartarsi che non tornassero indietro a distrurbarlo ulteriormente. L’inquietudine traspariva dai suoi occhi. Per sua fortuna i due giovani agenti si erano già scordati delle due bare e con un incesso reale si erano avviati verso le macchinette per gustarsi il loro sesto caffé acquoso della giornata. Mise in moto. Claire notò che le mani del ragazzo tremavano e intuì che la situazione stava volgendo a suo vantaggio, ma fece finta di niente. Per qualche minuto il silenzio tornò a regnare nell’abitacolo, poi d’improvviso, come se un pensiero fuori posto avesse rotto l’equilibrio dello stormo che affollava la sua mente, Nicolas sterzò violentemente verso la corsia di emergenza e si fermò sulla prima piazzola di sosta che trovò. Si prese la testa tra le mani e iniziò a elencare tutte le imprecazioni che conosceva, che a dire il vero non erano molte. Claire lo guardò con aria sorpresa.

– Che succede?

Nicolas fece un gesto con la mano come per allontanare quella domanda a cui non poteva dare risposta.

– Qual è il problema? Forse ti posso aiutare.
– Stai fuori da questa storia, non ti voglio creare problemi. Sai già troppe cose.
– (con aria ingenua) Di cosa stai parlando?
– Sto parlando della ragazza di Sebastian, non eri forse al telefono con lei prima?
– Sì, è vero parlavo con Estelle, ma che c’entra, la conosci?
– No, ma conosco Sebastian.
– Ah, davvero?
– Ti ho vista mentre guardavi il mio cellulare, non prendermi per un idiota. Stanne fuori ti dico.

Claire si sentì come quella volta che il suo istruttore di atletica la sorprese mentre gli guardava il fondoschiena. Stupida. Non sapeva più che dire. Nicolas prese un’aria pensierosa, poi con un fare paternalistico aggiunse:

– È meglio se dimentichi tutto.

Nonostante l’imbarazzo, c’erano troppe questioni che giravano nella testa di Claire, aveva il dovere di continuare a chiedere, anche se in fondo già conosceva le risposte.

– Spiegami almeno di che si tratta, cosa devi consegnare per Sebastian? E chi è Miguel Negredo?

Nicolas la guardò per un attimo, poi il suo viso si distese.

– Miguel Negredo è ciò che devo consegnare.
– Lo sapevo! Scusa, ma quindi cosa c’è nell’altra bara?
– Nell’altra bara c’è la signora Jacqueline Noiret, nata a Parigi il 12 ottobre di 93 anni fa e morta a Montpellier sabato scorso. Aveva espresso il desiderio di essere seppellita al Père Lachaise accanto ai suoi genitori e io ce la sto portando. Nel cruscotto ci sono i documenti che lo provano, puoi verificare.
– Quindi ti stai servendo di un trasporto ufficiale per farne uno illecito. Perché, chi è Miguel Negredo?
– Non lo so, Sebastian non mi ha detto niente, prima che tu ne parlassi con la tua coinquilina non sapevo neanche come si chiamasse. Quando ho sentito quel nome ho capito che stavate parlando del tipo nella bara.
– Quindi non sai nemmeno perché lo stai portando a Montreuil?
– No, non so niente. (prendendosi di nuovo la testa tra le mani) Sono uno stupido, non avrei dovuto accettare, prendere tutti rischi per un po’ d’erba.
– Che c’entra l’erba?
– Sì, Sebastian mi ha promesso che se avessi trasportato il tipo senza fare domande mi avrebbe fornito duecentocinquanta grammi di erba. Con questa quantitià ci vado avanti minimo sei mesi, mi sono lasciato convincere. E poi è difficile dire di no a dei tipi come Sebastian e i suoi amici.
– Momo?
– No, Momo non c’entra, non è nel suo giro, anzi penso che fosse contro il trasporto. Gli amici di Sebastian sono dei veri banditi, spagnoli e sudamericani.
– Mmm, c’è una cosa che non mi torna però, perché hai preso il rischio di portarmi con te sapendo che avrei potuto scoprirti?
– Non potevo immaginare che tu fossi un’amica di Sebastian e se tu non avessi guardato il mio cellulare non te ne avrei di certo parlato. Ti ho dato un passaggio perché non mi piace viaggiare da solo con un cadavere nel bagagliaio, tantomeno con due.
– Capisco…
– Prima ti ho mentito, non sono fatto per questo mestiere, anzi lo odio, lo faccio solo per far piacere a mio padre, che è il proprietario dell’attività. Fu mio nonno a fondarla negli anni ‘40, figurati che lavoriamo con i morti da quattro generazioni.

Claire sorrise, provava un po’ di pena per quel ragazzone, ma allo stesso tempo riusciva a capire la sua infelicità. Anche suo padre avrebbe voluto che riprendesse l’attività di famiglia, ma a lei di lavorare in macelleria proprio non interessava. Quando gli disse che sarebbe diventata una professoressa di storia vegetariana lui non si arrabbiò, ma sapeva di averlo deluso. Claire era la più piccola delle sue tre figlie, la sua ultima speranza per poter trasmettere il mestiere a qualcuno di famiglia. Annabelle, la primogenita, aveva scelto di fare la dentista e si era sposata con un poeta pallido che portava sempre maglioni a collo alto di cachemire, poco adatti al lavoro di macelleria. Aveva sperato che un giorno avrebbero cambiato idea, ma da qualche anno ormai si era dovuto rassegnare all’idea di non poter fare affidamento su di loro. Per quanto riguarda la secondogenita invece, non si era mai fatto illusioni, sapeva che era una battaglia persa in partenza. Lucille viveva all’estero da quando aveva vent’anni e da due aveva deciso di trasferirsi in Sud America per salvare i giaguari dall’estinzione. Come se non bastasse, era fortemente convinta dell’inutilità delle unioni legali o religiose, non si sarebbe mai sposata, diceva. Insomma, Claire provava rammarico per la propria decisione e sapeva di aver causato una grande amarezza al padre.

– Ti capisco sai, anche mio babbo avrebbe voluto che riprendessi la sua attività.
– Però non l’hai fatto.
– No, ho scelto un’altra strada e sono sicura che in fondo è contento. Magari anche tuo…
– (interrompendola) Non conosci mio padre, non capirebbe.
– Non puoi saperlo se non provi.

Pronunciò quest’ultima frase con un’espressione di complicità e per un istante i loro sguardi si incollarono. Gli occhi che prima le erano sembrati vitrei si mostrarono in tutto il loro splendore blu fiordaliso. Cambiò discorso:

– Forse dovremmo andare prima che la polizia ci fermi di nuovo.
– Hai ragione, andiamo.

Parte ottava

Pubblicata sul Numero 19
 

MA | RE #3 di Roberto Pireddu
MA | RE #3 di Roberto Pireddu¹

Perché nascondere il trasporto del cadavere? Chi era stato a ucciderlo? Sebastian non le sembrava tipo da commettere un omicidio, ma come suo zio Richard le aveva insegnato, non si fidava delle apparenze. Non poteva nemmeno essere certa che Nicolas non dissimulasse le proprie intenzioni, anche se aveva buoni motivi per credere il contrario. La sua inaspettata confessione l’aveva convinta della sua sincerità. Il ragazzo sembrava essere stato coinvolto suo malgrado in un grave affare e Claire sapeva che proseguendo l’inchiesta lo avrebbe esposto a guai molto più grossi, ma non poteva farne a meno, per il bene della sua migliore amica.

– Devo chiamare Estelle e raccontarle tutto.
– Non dire cazzate, cosa pensi che possa fare Estelle?
– Non lo so, ma sicuramente ha già scoperto qualcosa, dobbiamo aiutarla a capire cosa sta trafficando Sebastian.
– Ti ricordo che abbiamo un cadavere nel bagagliaio, vuoi farmi finire dentro per complicità in omicidio? Potrei dire che anche tu fai parte del piano.
– Accidenti, calmati, voglio solo capire perché lo stai trasportando, non ti preoccupare, non andremo a denunciarti. Non sei curioso di sapere per cosa ti hanno ingaggiato?
– No, meno ne so e meglio è
– E invece a me interessa, la chiamo.

Il telefono squillò a vuoto per qualche secondo finché Estelle non rispose con voce affannata:

– Claire scusa, sono occupata, ti richiamo tra un po’.

La ragazza stava a cavalcioni sulla testa di Kevin, un ragazzotto di 15 anni che come unica colpa aveva quella di essere il fratello minore di Ruben, uno dei nuovi capi della comunità gitana. Anche se un pò umiliato dalla situazione, sul volto di Kevin si poteva leggere il piacere di ritrovarsi per la prima volta tra le gambe di una donna. Non era certo così che se l’era immaginata, ma date le circostanze decise di approfittarne il più possibile.

– Che hai da ridere? Guarda che vado a raccontare a tutti i tuoi amici che ti sei fatto atterrare da una ragazza, dimmi dov’è tuo fratello!
– Non mi importa, raccontalo a chi vuoi. Se ti dico dov’è che mi dai in cambio?
– Non ti picchio.
– Che paura. Dai, cosa mi dai in cambio?
– Cosa vuoi?
– Fammi vedere i tuoi seni.
– (sorridendo) Che impertinente!
– Allora?
– Va bene, te li faccio vedere, ma prima dimmi dov’è Ruben.
– E’ partito ieri, ma mi ha detto solo che sarebbe stato via per un po’.
– Non ti ha detto dove andava?
– No, ma ho sentito che chiamava un suo amico spagnolo, sarà andato a Andorra a comprare le sigarette come sempre.
– Ad Andorra?
– Sì, come fanno tutti, compra le sigarette e poi le rivende qui.

Estelle si ricordò dei pacchetti vuoti trovati nello zaino di Sebastian.

– Sai se Ruben e Sebastian si sono visti ultimamente?
– Sì, Sebastian viene spesso alla cité Polie, mi sa che lui e mio fratello si sono messi in affare.

Quelle parole le bastarono, sapeva che Ruben non vendeva solo le sigarette di contrabbando, se era diventato uno dei nuovi capi era perché aveva allargato il campo d’azione della comunità facendola entrare nel traffico di cocaina. Schizzò in piedi e si avviò verso la porta.

– Hey, mi avevi promesso che me li avresti fatti vedere!
– Quando sarai più grande.

Uscì di corsa dalla stanza e ritornò in strada. Sapeva già dove andare. La pleine lune, il bar della piazza, era il luogo di ritrovo di artisti, studenti e tossicomani del quartiere. Lì avrebbe trovato sicuramente dei consumatori da interrogare.

Parte nona

Pubblicata sul Numero 20

 

MA | RE #7 di Roberto Pireddu¹
MA | RE #7 di Roberto Pireddu¹

Il cameriere aveva appena annunciato la fine del servizio delle bevande calde. Gli ultimi anziani avventori avevano lasciato il posto a chiassose orde di studenti. Alla terrazza de La pleine lune era l’ora dello chassé-croisé dell’aperitivo. Cinque giovani italiani armati di un mazzo di carte e una chitarra scassata si preparavano a una briscola con serenata improvvisata, un classico del lunedì sera universitario. Un po’ più lontano sedeva Adrien, l’inquilino cieco del secondo piano, assieme a due amici. Il più alto dei due aveva l’aria affranta e portava sul viso i segni di una colluttazione, un vistoso ematoma contornava il suo occhio sinistro. Estelle vedendolo, gli si fece vicino preoccupata.

– Aaron, che ti è successo?
– Niente di che, una sciocchezza.

Intervenne Adrien.

– Sì, come no, una sciocchezza! Si è fatto aggredire da quei cretini della via Courreau, l’hanno picchiato a sangue e derubato. E sai perché? Perché dicono, camminava come un gay. Ti rendi conto?
– Figli di puttana!
– Puoi dirlo.
– Mi dispiace, come ti senti? Sei andato a sporgere denuncia?
– No, non ci vuole andare, dice che preferisce non avere altri problemi nel quartiere, per favore diglielo anche te…
– Sono d’accordo, Aaron è importante, vai all’ospedale e poi sporgi denuncia.

Il ragazzo annuì con i lucciconi agli occhi, ma lo fece solo per essere lasciato stare tranquillo, sapeva già che non sarebbe andato alla centrale. In futuro avrebbe semplicemente evitato di passare da quella strada, il suo unico desiderio era di scordarsi il prima possibile dell’accaduto.

Estelle riprese:

– Scusate ragazzi, vi porto via Adrien per un secondo, è per una cosa importante.

Fecero qualche metro tenendosi a braccetto.

– Adrien, mi devi aiutare. So che Sebastian ti vende dell’erba, ma vorrei sapere se ultimamente ti ha proposto altro, della cocaina per esempio.
– No, non è così stupido, lo sa che te l’avrei detto.
– Già.
– Ma se ti può aiutare la mia amica Juliette mi ha parlato di una “neve” pura appena arrivata nel quartiere. Se è qui le possiamo chiedere da chi l’ha presa, la vedi da qualche parte?

Estelle si guardò un po’ intorno, poi vide due bionde sedute proprio accanto al tavolo degli italiani. Juliette e Camille stavano approfittando della serenata bevendo un cocktail al rum e succo di zenzero. Juliette ogni tanto gettava uno sguardo a uno dei giocatori di briscola dal naso maschio e le sopracciglia spesse, che dal canto suo non mancava di ricambiarla.

– É seduta laggiù!
– Chiamala, dille di venire qui.

Estelle si avvicinò al tavolo e le sussurrò qualcosa all’orecchio, poi insieme si avviarono verso Adrien. Senza tanti fronzoli quest’ultimo le spiegò sommariamente la situazione e le chiese chi le avesse fornito la cocaina. La ragazza non sembrò imbarazzata dalla schiettezza della domanda e rispose seneramente:

– Un amico dell’università, si chiama Jérôme. La prendo sempre da lui, ma non mi ha mai detto chi gliela fornisce. Questa volta me l’ha fatta pagare più cara dicendomi che si tratta di roba pura appena arrivata dalla Colombia.
– Davvero non hai idea di chi possa essere il suo fornitore? chiese Estelle.
– Non saprei dirti, lo conosco da poco e al di fuori dell’università non ci frequentiamo.
– Quindi non sai dove possiamo trovarlo? Sai dove abita?
– Una volta mi ha detto che stava in cima all’Avenue de Lodève.
– Dietro la cité Polie?
Sì, immagino di sì, ma non sono sicura.
– Va bene, grazie Juliette. Di’ al cameriere di segnare il prossimo giro sul mio conto e, per informazione, il ragazzo che gioca a carte si chiama Antonio, è uno a posto, se vuoi ti posso girare il contatto. (facendole l’occhiolino) Mi raccomando però, non raccontare a nessuno di questa conversazione, nemmeno alla tua amica.

Juliette arrosì abbozzando un sorriso di complicità, poi tornò a sedersi accanto a Camille.

– Hai sentito Adrien?
– Sono cieco, mica sordo.
– Eh, appunto, dobbiamo trovare questo Jérôme, sono sicura che compra la roba di Ruben, ma c’è da capire chi si occupa dello spaccio.
– Dobbiamo? Scusa, io cosa c’entro in questa storia?
– Sei mio amico e ho bisogno dell’aiuto di qualcuno di cui mi possa fidare.
– Va bene, ho capito, ma Claire non ti può dare una mano?
– Ah già, Claire, mi sono scordata di richiamarla. Il problema è che sta andando a Parigi, non so quanto possa essermi utile a distanza.
– Sì, me l’ha detto, ma prova a chiamarla, magari conosce qualcuno che ti può aiutare.
– Hai ragione, la chiamo subito.

Il telefono squillò per un secondo appena.

– Estelle, ce ne hai messo di tempo per richiamarmi, ti devo dire delle cose importanti.
– Sì, scusa, ma stavo interrogando delle persone, di che si tratta?
– Proprio di questo, ho scoperto chi è Miguel Negredo…

Parte decima

Pubblicata sul Numero 21

 

MA | RE #24 di Roberto Pireddu¹
MA | RE #24 di Roberto Pireddu¹

Claire le raccontò per filo e per segno tutto ciò che era succcesso da quando aveva lasciato Montpellier. Il furgoncino grigio, le risposte laconiche di Nicolas, il controllo della polizia, la reazione del ragazzo e l’inaspettata confessione che ne seguì. Si attese ai fatti e omise i dettagli riguardanti le proprie impressioni,  come se si trattasse di un vero verbale della polizia. Arrivata in fondo si stupì della precisione del proprio resoconto. Dall’altro capo, Estelle ascoltò con attenzione senza interromperla e quando Claire ebbe finito, la ringraziò di cuore e riattaccò. La telefonata durò più di dieci minuti, ma Estelle non fece cenno alle sue ricerche. Le passò di mente. Le informazioni appena ricevute la isolarono da tutto ciò che la circondava, le persone, la musica, le auto che passavano, niente di ciò che le stava intorno riuscì a distrarla. Quando tornò in sé si accorse che Adrien le stava parlando, probabilmente da qualche minuto. Si scusò per non averlo ascoltato e con fare deciso si congedò promettendogli di andare a trovarlo dopo cena. Aveva bisogno di concentrazione. Come spesso le capitava quando sentiva la necessità di raccogliere e riformulare i propri pensieri si incamminò verso il Peyrou, il giardino panoramico situato a qualche centinaio di metri dalla Pleine lune. A quell’ora d’estate il prato era sempre occupato da centinaia di giovani, ma Estelle sapeva che dietro il castello d’acqua avrebbe potuto approfittare di una bella vista e di un po’ di tranquillità. Passando in mezzo a un gruppo di giocatori di frisbee intravide due compagni del quarto anno di medicina, ma fece finta di niente e si diresse a testa bassa verso il fondo della passeggiata. Si sedette a cavalcioni sul muretto di fronte all’acquedotto romano e cominciò a elencare nella sua mente tutte le informazioni in suo possesso. Se Nicolas diceva il vero, Sebastian gli aveva ordinato di trasportare il cadavere di un cittadino colombiano di nome Miguel Negredo da Montpellier a Montreuil per una ragione che ancora le sfuggiva, ma che era molto probabilmente legata al traffico di cocaina e di conseguenza alla sua nuova alleanza con Ruben, il capo di una giovane gang gitana. Inoltre, se le sue ipotesi erano giuste, un ragazzo di nome Jérôme, che abitava proprio dietro la cité Polie, spacciava per loro la cocaina appena ricevuta dalla Colombia. Questo Paese compariva per la seconda volta nelle sue ricerche e anche se non poteva fidarsi ciecamente della parola di uno spacciatore, la connessione tra Miguel Negredo e la nuova roba arrivata in città le sembrava evidente. Si disse però che avrebbe dovuto verificare innanzitutto l’identità del morto, perché Nicolas avrebbe potuto sbagliarsi. Fece una foto del passaporto con il suo telefono e la inviò a Claire accompagnata da un breve messaggio:
«Verificate se si tratta della stessa persona».

A un po’ più di 300 chilometri di distanza Claire impallidì. Capì immediatamente che non si trattava di uno scherzo e gettando uno sguardo a Nicolas si risolse a comunicargli il compito assegnatole da Estelle.

– Ma sei impazzita? Non ci pensare nemmeno.
– Dobbiamo farlo! Accostati alla prossima area di sosta e non discutere.
– Ricordami, da quando in qua prendo ordini da te?
– Da quando ho scoperto che compi azioni illecite, probabilmente complicità in omicidio, occultamento di cadavere, possesso di droga…devo continuare?
– No, basta, ho capito…ma è troppo rischioso! Ti immagini se qualcuno dovesse vederci?
– Non ci vedrà nessuno, non ti preoccupare.

Fecero una cinquantina di chilometri prima di trovare un’area di sosta adatta. Il furgoncino grigio si accostò lentamente sotto l’ombra di una quercia nell’angolo più nascosto del parcheggio. Ai piedi dell’ultima cima visibile del Massiccio Centrale, Nicolas scese dal veicolo e raggiunse lo sportello posteriore.

– Fammi vedere la foto.

Claire gli porse il telefono gettandogli uno sguardo d’apprensione. Il ragazzo non ci fece caso. Con fare sicuro entrò nel retro e aprì la bara. Non ebbe bisogno di guardare nuovamente la foto.

– È Miguel Negredo.

Claire si avvicinò e riconobbe il proprietario del passaporto.

Parte undicesima

Pubblicata sul Numero 22

 

Beyond reason di Roberto Pireddu

L’orologio segnava le 20 e 10 quando ricevette il messaggio di conferma. « È lui ». In quell’istante una piccola insignificante nuvola coprì la lenta discesa del sole distraendo Estelle dai suoi pensieri e come un neo che magnifica la bellezza di un viso, la spinse a contemplare la limpidezza del cielo. Un’immagine ordinaria e pertanto infinitamente mutabile che solamente un dettaglio permette di rivalutare attraverso un nuovo sguardo. Ecco la direzione verso la quale dirigere le sue ricerche. Doveva capire cosa era cambiato nella sua relazione con Sebastian. L’abitudine aveva accecato il suo senso dell’osservazione e nessuna metodica costruzione investigativa le avrebbe permesso di rimediarvi. Iniziò a ripensare alle settimane precedenti, quando d’un colpo una mano toccò la sua spalla.

– Adrien! Accidenti a te, mi hai spaventato!
– Sapevo che ti avrei trovato qui, il tuo posto per riflettere. (risatina) Solo una matta come te può venire in un parco pieno zeppo di gente per trovare la concentrazione. Ho dovuto scansare almeno due palloni, un frisbee e qualche cane per raggiungerti. Puoi guardarmi sotto le scarpe e dirmi se ho pestato qualcosa?
– No, non c’è niente.
– Allora c’è qualcuno che puzza, ti sei lavata stamattina?
– Senti, Adrien, cosa vuoi? Perché mi sei venuto a cercare?
– Scherzo, non ti arrabbiare. Sei troppo nervosa, dovresti farti una risata ogni tanto! Ti ho già raccontato la barzelletta su Adamo ed Eva?
– Non mi sembra il momento di scherzare, la situazione è molto seria.
– Va bene, ho capito, vieni con me allora, ho scoperto dove abita Jérôme.

I due si incamminarono verso il Corso Gambetta e da lì imboccarono la salita dell’Avenue de Lodève.

Qualche attimo dopo una Yamaha R6 entrò in contromano in rue de la Merci e fatta una ventina di metri si fermò davanti alla casa dove abitavano Sebastian, Momo e i loro coinquilini. Il pilota smontò di sella e senza togliersi il casco si avviò verso il portone. Dalla cucina Rebecca, l’affascinante coinquilina veneta di cui Momo era segretamente innamorato, vide entrare un trentenne rinsecchito con i pantaloni strappati, una camicia a quadri troppo larga per le sue spalle a forma di gruccia e uno zaino da motociclista.

– Sebastian, che piacere vederti!
– Ciao Rebecca, che buon odore! Pizza stasera? (scimmiottando l’accento italiano)
– Sì, señor, ma non sapevo che saresti tornato, spero che basti per tutti.
– Non ti preoccupare, tanto non credo di fermarmi molto.
– Riparti subito? Dai, potresti passare una serata con noi ogni tanto.
– Hai ragione, scusa, ma ho molto da fare ultimamente. Hai visto Momo?
– Sì, è su in balcone con gli altri, vai pure, io vi raggiungo tra un po’.
– Va bene, grazie.

Salì le scale e come prima cosa entrò nella sua camera. Da qualche tempo aveva deciso di chiuderla a chiave per evitare che qualche curioso si mettesse a  frugare tra le sue cose. Si era giustificato dicendo che non voleva che gli ospiti vedessero le piantine di cannabis che coltivava nello sgabuzzino, ma Momo aveva capito che stava nascondendo qualcos’altro. Aprì l’armadio e ripose una decina di fasci di banconote in un sacchetto della spazzatura, poi si sdraiò sul letto e chiuse gli occhi. Quando qualcuno bussando alla porta lo svegliò, gli sembrò di aver dormito una notte intera, eppure erano passati solamente dieci minuti. Ancora mezzo intontito andò ad aprire.

– Guarda che è pronto.
– Oh, ciao Momo, sì, arrivo tra un minuto.
– Beh?
– Beh cosa?
– A che punto è l’affare?
– Tutto a posto, il becchino è in viaggio, dovrebbe arrivare prima di mezzanotte, perché ti preoccupi?
– Mi preoccupo perché non hai idea del casino in cui ti sei messo, quelli ti squartano se qualcosa va storto. Ti rendi conto del rischio che corri? Lo sai che Estelle sta interrogando tutto il quartiere per sapere dove sei, non vorrai che le facciano del male?
– Estelle, cosa? Quella è matta, la devo fermare prima che faccia cazzate.
– Se lei è matta tu sei il re dei matti, devi imparare a riflettere amico mio. La tua fame insaziabile di nemmeno sai cosa ti porta a compiere delle azioni stupide, a prendere strade buie e desolate da cui la tua simpatia non ti permetterà di uscire.
– Non mi fare la morale Momo.
– Non vuoi parlare di morale? Va bene, parliamo della tua collera allora. Dammi una spiegazione a questa reazione smisurata di rigetto della società da parte di un giovane istruito e di buona famiglia che decide di abbandonare gli studi per dedicarsi a una vita da gangster. I soldi? Non credo. Penso piuttosto che tu stia fuggendo la tranquillità per disprezzo degli altri, di coloro che conducono un vita « normale », banale e senza rischi, e che tu non abbia la minima idea di come gestirtela. Non è per anticonformismo, perché, guardati, tu stesso ti lasci portare dal vento, non hai idea di dove stai andando, e io non sarò sempre qui a salvarti il culo.
– Certo, io non so e non posso capire, solo tu che sei nato a Marsiglia in mezzo alla merda puoi saperlo. (spintonandolo per uscire)

Momo lo colpì con un sinistro sulla guancia, lo afferrò per il codino e schiacciò la sua testa contro la porta.

– Vai a prendere un po’ d’aria e a cercare la tua ragazza, poi torna quando sarai più lucido.

 

Parte dodicesima

Pubblicata sul Numero 23

 

Marseille et les monstres di Philippe J
Marseille et les monstres di Philippe J

Con la vista ancora annebbiata, Sebastian scese le scale a tastoni fino alla cucina, incrociando Rebecca abbassò lo sguardo per non sentire il peso del suo giudizio. La ragazza non ebbe il tempo di chiedergli spiegazioni, ma vedendolo tenersi lo zigomo con la mano comprese immediatamente l’accaduto. Sospirò come per ricacciare i cattivi presagi e riprese a tagliare la margherita appena sfornata. Da qualche mese le dispute tra Momo e Sebastian si erano intensificate diventando sempre più violente e a Rebecca era bastato origliare una breve conversazione tra i due per capirne il motivo. Fino a quel giorno aveva deciso di fare finta di niente, ma erano settimane ormai che non riusciva più a parlare con Sebastian, ne andava della tranquillità della convivenza. Lasciò la pizza sul tavolo e andò a chiedere chiarimenti a Momo. Nel frattempo Sebastian aveva già inforcato la moto in direzione della cité Polie. Aveva preso la strada più lunga per darsi il tempo di smaltire la rabbia per l’umiliazione appena subita. Avrebbe chiamato Estelle più tardi, dopo aver parlato con Ruben. La decisione non fu delle più sagge perché Estelle e Adrien avevano già raggiunto la casa di Jérôme e si apprestavano a suonare al campanello. Dalla finestra una musica elettronica riempiva la strada a volume talmente alto che una qualsiasi conversazione tra i due sarebbe risultata impossibile. Suonarono due volte, poi una terza e solo qualche minuto dopo la musica si abbassò e uscì un ragazzo con i capelli corti. Aveva un sorriso gentile, che ispirava fiducia, ma i suoi occhi erano vuoti, come catturati da pensieri indecifrabili. Adrien non poté accorgersene e si limitò ad ascoltare il timbro deciso della sua voce.

– Si?
– Ciao, io sono Estelle e lui è Adrien, stiamo cercando Jérôme.
– Perché lo cercate?
– Vogliamo comprare un po’ di « coca »…
– Mi dispiace, vi siete sbagliati, qui non c’è nessun Jérôme.
– Ci manda Juliette.
– Juliette chi?

A questo punto intervenne Adrien.

– Senti, ci dispiace venirti a disturbare a casa, ma si tratta di un’emergenza, stasera festeggiamo il compleanno di un amico e siamo a secco. Ho pregato Juliette, Juliette Macon, di aiutarmi e mi ha detto di venire da te. Non conoscendo il tuo indirizzo ho chiesto a un amico che consegna le pizze di darmelo ed eccoci qua. Lo so che non è molto corretto, ma come ti dicevo è un’emergenza, si tratta di un regalo di compleanno.

Jérôme li squadrò per qualche secondo poi fece segno di entrare. La casa era in realtà una villetta di cinque stanze con un giardino interno ben curato a cui si accedeva da un ampio salotto color avorio con cucina all’americana. Un maxischermo al led incastonato in una libreria design occupava tutta la superficie di una delle pareti, mentre dall’altro lato, sotto un arazzo persiano si ereggeva un leone impagliato con la criniera colorata di verde e una zampa anteriore ingessata che, come spiegò in seguito il ragazzo, era stato regalato al padre da un artista berlinese. Estelle non capì le intenzioni dell’artista e si disse che mai nella sua vita avrebbe esposto un animale morto in casa. Jérôme li fece accomodare sul divano e servì loro del vino bianco.

– Così siete amici di Juliette?
– Sì, ci siamo conosciuti alla Pleine Lune qualche anno fa e siamo rimasti amici, rispose Estelle.
– È simpatica ed è una buona cliente.
– Sì, e per fortuna ci ha indirizzato da te, ci stai salvando la vita.
– Eh sì, dovete dirle grazie, siete nelle mani del migliore fornitore di Montpellier. Di solito da chi la comprate?
– Ci riforniamo da Sebastian, conosci?
– Lo spagnolo?
– Sì, la prendiamo da lui.
– …ok…come mai venite da me allora?
– È irreperibile da qualche giorno, ma non lavorate insieme? Forse ci puoi dire dov’è.
– Io non lavoro con nessuno.
– Sì, scusa, volevo dire che la prendete tutti e due da Ruben, o mi sbaglio?
– Non so chi sia Ruben.
– Ah, ma forse puoi dirci dov’è Sebastian.
– Siete venuti per interrogarmi o per comprare?
– No, scusa, è che ero curiosa di sapere dove fosse finito. Certo, siamo venuti per comprare.
– Meglio così, quanta ne volete?
– Tre, quattro grammi.
– Tre o quattro?
– Quattro.
– Sono 80 euro al grammo, fanno in totale 320 euro.
– Ah, pensavamo di spendere meno, in questo caso dovremmo andare a ritirare.
– Va bene, non c’è problema, finite il vino con calma e poi andate. Non vi dispiace se faccio una chiamata?
– No, certo, fai pure.

Mentre il ragazzo si allontanava nell’altra stanza, Estelle e Adrien trattennero il respiro e buttarono giù il vino d’un sorso. Senza bisogno di parlare si alzarono simultaneamente dal divano e si diressero verso l’uscita. Raggiunsero velocemente la porta, ma quando Estelle cercò di aprirla si rese conto che era stata chiusa a chiave.

– Che succede? chiese Adrien.
– L’ha chiusa.
– Lo stronzo, passiamo dal giardino.

Ma non ebbero il tempo di girarsi che Jérôme sbucò da dietro il muro con una Beretta in mano.

– Già ve ne volete andare?
– Non volevamo perdere tempo, per le nove dobbiamo essere alla festa.
– Ah già, la famosa festa, perché invece ne facciamo una qui tra di noi, che ne dite? Tra poco arriva anche Ruben, mi ha detto che è molto curioso di conoscerti, pare che tu abbia già incontrato il suo fratellino Kevin…

Adrien sentì lo suo sguardo inquieto di Estelle volgersi nella sua direzione, il cuore le batteva al ritmo della musica in sottofondo.

Parte tredicesima

Pubblicata sul Numero 24

 

“Choices” dalla serie “Shadows Inside” di Roberto Pireddu

Tornarono a sedersi sul divano in attesa della sentenza, con la testa bassa e lo sguardo fisso di chi cerca una soluzione per espiare le proprie colpe. Essersi introdotti in casa di uno spacciatore ficcando il naso negli affari di un boss era di per sé un fatto assai grave, ma aver compromesso la relazione tra Sebastian e Ruben rischiava di mettere in pericolo la vita di tutti loro, Claire compresa. Nessun dilemma del prigioniero, nessuna via d’uscita, per Adrien il rintocco della tragedia avrebbe scandito inesorabilmente il suo futuro, come un condannato prossimo alla pena capitale. Ogni rumore lo faceva letteralmente trasalire e sentì di perdere i sensi quando una motocicletta passò nella strada a fianco. Estelle dal canto suo, pur rendendosi conto della gravità della situazione, non poteva fare a meno di riflettere a un modo per tirarsene fuori. D’istinto si sarebbe gettata hic et nunc in un moto di ribellione lanciando il primo oggetto a portata di mano, ma vedendo l’ansia di Adrien crescere di secondo in secondo si calmò e prese la sua mano per rassicurarlo. Rimasero in silenzio qualche minuto, cercando di darsi forza l’un l’altro, ognuno immerso nei propri pensieri.

Jérôme stava seduto di fronte a loro, con un piede appoggiato sul tavolino di vetro e una sigaretta in mano. Il suo volto si era trasformato, il sorriso gentile che li aveva accolti qualche minuto prima aveva preso la forma di un ghigno arido di sfida, solo il suo sguardo vuoto e indecifrabile era rimasto immutato, come se avesse semplicemente cambiato maschera.

– Siete fortunati, Ruben mi ha fatto promettere di non toccarvi fino al suo arrivo. Questo non vuol dire però che non mi possa divertire.

Così dicendo tirò fuori dalla tasca un coltello a serramanico e lo puntò verso Estelle simulando un’incisione sulla sua fronte.

– Potrei lasciarvi un bel ricordo di questa splendida giornata, ma poi chissà, magari stanotte non ci sarete più… Che ne dite, volete un piccolo regalino prima di morire?
– Sì, facci un bel regalo, ammazzati! disse Estelle sputandogli in faccia.

La fronte del ragazzo si gonfiò deformando ancora una volta il suo viso in un’espressione di orgoglio furioso. Lasciò cadere il coltello a terra e a mani chiuse iniziò a colpire il volto di Estelle. Una, due, tre volte. Quando Adrien provò a prestarle aiuto lo spinse contro il tavolino di vetro facendolo cadere a terra e senza esitazione iniziò a prenderlo a calci sullo stomaco. Poi raccolse il coltello e tornò verso Estelle ondeggiando la testa al ritmo del brano sparato a tutto volume dalle casse. 135 BPM e un buona quantità di cocaina per sentirsi come un dio. Dischiuse le labbra per annunciare qualcosa, ma il suono del campanello lo interruppe. « Proprio sul più bello ». Andò ad aprire.

Dietro la porta vide un omone magro dalle mani grandi e venose e un muso furbo da donnola. Ruben entrò nella stanza accompagnato da Sebastian e quando vide la scena prese Jérôme per il bavero.

– Cretino! Non ti si può fare affidamento, sei un fottuto drogato!

Nel frattempo Sebastian si era già precipitato verso Estelle stringendola tra le braccia. Si girò verso Ruben.

– Che cazzo succede? Che ci fanno loro a casa di questo malato di mente?
– Siediti, dobbiamo parlare.
– Parlare di cosa? Io l’ammazzo!
– Ho detto siediti! (alzando il tono della voce)

Sebastian prese Adrien per il braccio e lo aiutò a sistemarsi sul divano, poi si sedette tra lui e Estelle in attesa di una spiegazione. Non riusciva ancora a realizzare l’accaduto. Ruben si servì un bicchiere d’acqua, poi schiarendosi la voce cominciò il suo interrogatorio.

– Vedi Sebastian, ti ho fatto entrare nell’affare perché ti considero come uno dei nostri, quindi possiamo dire che qui oggi stiamo facendo una vera e propria riunione di famiglia. A parte per il cieco, lui non lo conosco.
– Mi chiamo Adrien e per te sono un non-vedente.
– (scoppiando a ridere) Benissimo, piacere Adrien. Allora adesso mi spieghi perché tu e la tua amica ficcate il naso nei miei affari.
– Non sapevamo che fossero affari tuoi.
– Ammettiamo anche che sia vero, cosa sapete allora?
– Sappiamo che smerciate cocaina ed era tutto quello che volevamo sapere. Estelle era inquieta per Sebastian, si chiedeva dove fosse e cosa facesse, per questo siamo qui.
– E così eri inquieta, non vuoi che il tuo Sebastian spacci? Ma questo lo sapevi già no, cos’è che ti preoccupa? (rivolgendosi a Estelle)
– Mi preoccupo per la sua vita, non voglio che si metta in pericolo per gente come te.
– (abbozzando un sorriso) Fino a questo momento l’unica persona che ha messo in pericolo la sua vita sei tu, venendo qui, andando in giro a fare domande, mettendo in ridicolo il mio fratellino…
– Per quello mi dispiace, non volevo metterlo in mezzo, ma non ho avuto scelta.
– Sapevi quali sarebbero state le conseguenze, eppure ci sei andata lo stesso, spiegami perché.
– Te l’ho detto, volevo sapere cosa trafficava, non si fa mai sentire e quando c’è non resta mai più di un giorno.
– Sebastian, cosa hai da dire a riguardo?
– È vero che non mi faccio sentire quanto dovrei, ma ho troppo lavoro da fare, non ho tempo. E lo sai com’è fatta Estelle, è impulsiva e curiosa, se pensa che le si nasconda qualcosa andrebbe fino in capo al mondo per scoprire di cosa si tratta, ma per favore, non farle del male, ti prometto che da oggi in poi non ficcherà più il naso nei tuoi affari.

Nell’istante esatto in cui finì la frase il telefono di Estelle emise un lieve, ma ben udibile bip.

– Leggi il messaggio ad alta voce, le intimò Ruben.

La ragazza tirò fuori il cellulare dalla borsa e rivolse lo schermo verso di lui.

– Un messaggio della mia amica Claire che mi dice che va tutto bene.

Bluff. Nelle serie tv funzionava sempre e ormai poteva solo perdere tutto oppure guadagnare la libertà.

– Passamelo, fammi leggere la conversazione.

Non era così stupido come immaginava, Ruben avrebbe scoperto il vero motivo della loro visita e le conseguenze sarebbero state infauste. Il rintocco della tragedia ormai batteva più forte del cuore di Adrien.

 

Parte quattordicesima

Pubblicata sul Numero 25

 

 

Lontano da ogni strada di Nicola Lonzi
“Lontano da ogni strada” di Nicola Lonzi

 

«Siamo all’altezza di Orléans, tra meno di due ore arriveremo a Montreuil. Tutto bene! Baci». Inviando questo semplice messaggio, Claire aveva voluto rassicurare Estelle per farle capire che avrebbe gestito la situazione al meglio, non poteva immaginare che proprio quel sms l’avrebbe messa in casini ancora più grandi.

Nicolas guidava con l’esperienza di un camionista a fine carriera, lo sguardo dritto e il pensiero altrove, con il vantaggio di non avere ancora abbastanza chilometri sotto il sedere per accusare quei maledetti dolori lombari di cui soffriva suo padre. La radio passava Demain c’est loin di IAM, la strada era sgombra e Claire parlava a ruota libera della sua teoria sulla generazione dei quasi. Quasi studenti, quasi commessi, quasi inventori, quasi ingegneri, quasi indipendenti, i suoi coetani, diceva, sono combattuti tra l’idea di sregolatezza degli anni ottanta e l’austerità dei duemila, la realtà nei maggior parte dei casi non era un ostacolo in sé, ma pochi osavano scontrarcisi. Lei invece sarebbe presto partita in Namibia per studiare il popolo Herero e nessuno glielo avrebbe impedito, avrebbe trovato il modo di finanziare il suo viaggio. Nicolas non mise in dubbio le teorie socio-economiche di Claire, ma gli venne da pensare che l’età adulta fosse per lei ancora un enigma, nonostante avesse due anni in più di lui. Ammirava il suo spirito e le sue storie di viaggi e gli venne da sorridere quando gli parlò degli Herero, lui non sapeva nemmeno dove si trovasse la Namibia. Per qualche minuto viaggiarono con la mente leggera, ridendo delle rispettive ambizioni e degli stereotipi sui trasportatori funebri. Nicolas conosceva anche qualche barzelletta che aveva sentito dai colleghi, ma a detta di Claire erano barzellette a cui solo i morti e i becchini potevano ridere. L’orologio segnava le 21 e 55 e nessuno dei due aveva ancora pensato a mangiare, la conversazione era una pillola zuccherata. Quando il telefonò suonò li prese alla sprovvista, non stavano aspettando chiamate. Vedendo il nome sullo schermo, Claire si rassicurò, è Estelle, vorrà dirmi come procedono le sue ricerche.

– Claire?
– Sì? Chi è, chi parla?
– Non è importante, volevo solo dirti che Estelle e Sebastian sono qui con me e stanno bene.
– Non capisco, ma chi sei?
– Diciamo che sono quello per cui stai lavorando in questo momento e sei non fai quello che ti dico finirà male per te e i tuoi amici. Adesso passami il becchino.
– Nicolas?
– Chi altro sennò? Passamelo!
– Va bene, va bene, te lo passo.

– Pronto?
– Stammi bene a sentire piccolo stronzo, adesso andate a Montreuil all’indirizzo che ti è stato dato e non fate cazzate. Appena avete finito tornate indietro e venite direttamente da te, sono stato chiaro?
– Chiaro, non ti preoccupare, andrà tutto liscio.
– Lo spero per te. Un’ultima cosa, le hai parlato della coca?
– No, no.
– Sei sicuro?
– Sicurissimo, non ne ho parlato a nessuno.
– Lo spero per te.

Questo lo ha già detto, pensò Nicolas, ma non ebbe il tempo di replicare, Ruben aveva già messo giù.

– Siamo nella merda.
– Chi era?
– Non hai capito? Era Ruben, il nuovo capo della cité Polie e se non ci muoviamo ci farà la pelle.
– M’ha detto che Estelle e Sebastian sono con lui, li sta tenendo in ostaggio, cosa c’entrano loro con Ruben e con il cadavere?
– Cazzo, cazzo, cazzo!
– Nicolas?
– Non lo so, non lo so, cazzo, cazzo, cazzo!
– Guardami! Che cosa c’entra Ruben con questa storia? Lo conosci?
– Non lo conosco, ma ne ho sentito parlare e ti assicuro che se qualcosa va storto domani non saremo qui per raccontarlo.
– Gli hai detto che non ne hai parlato a nessuno, di cosa, cos’è che non devi raccontare?
– (emettendo un piccolo sbuffo) Di Miguel Negredo, del cadavere insomma, è meglio che non sappia che tu sei al corrente, ammesso che ci creda.
– Non ci crederà mai!
– Ecco infatti, sarebbe meglio che tu ti fermassi un po’ a Parigi dai tuoi genitori, ti ci accompagno appena siamo in città.
– Non esiste che ti lasci da solo in quest’affare, vengo con te a Montreuil.
– Scordatelo, è troppo rischioso, dove stanno i tuoi?
– Stanno a Bagnolet, a due minuti da dove dobbiamo andare. Ti accompagno e resto in macchina, ti prometto che non dirò niente. E poi l’hai detto anche tu che se non ci muoviamo ci farà la pelle.
– Mi prometti che starai buona in macchina e non fiaterai?
– Promesso.

Sfortunatamente Claire aveva un’idea della promessa tutta sua, ereditata probabilmente dai suoi antenati mercanti e marinai di origine bretone. La notte si annunciava più lunga del previsto.

Parte quindicesima

Pubblicata sul Numero 26

"Noir" di Elias Palidda
“Noir” di Elias Palidda

Nell’appartamento di Jérôme, Estelle e Adrien tacevano la loro apprensione aspettando la notizia dell’avvenuta consegna del corpo. Mancavano poco meno di due ore all’ora dell’appuntamento. Entro mezzanotte al numero 14 dell’Impasse dei lillà a Montreuil. Altrimenti avrebbero fatto la stessa fine di Miguel Nigredo, forse anche peggiore, si disse Estelle. La tramontana, che in quelle zone prendeva il nome di Cers, prese a soffiare con insistenza sui vetri e a dare vita a tutti gli oggetti inanimati del giardino.

– Se durerà tre giorni possiamo ritenerci fortunati, altrimenti saranno sei e nel peggiore dei casi nove. Sapete che dicono gli anziani? Che questo vento fa diventare la gente matta! Per me è vero, a volte è talmente forte da farmi venire il mal di testa.

Così dicendo Ruben tirò fuori un paio di dadi e li lanciò sul tavolino guardando in direzione di Sebastian, che non esitò a raccogliere la sfida. La presenza del suo capo aveva ammansito Jérôme che, dopo aver posato la pistola su una mensola della mega libreria design, si stava servendo un bicchiere di whisky giapponese. Adrien seguiva tutta questa scena surreale dalla sua cecità, pensando che se non avessero trovato un modo di uscire da lì sarebbero morti quella sera stessa: anche se la consegna fosse arrivata in tempo Ruben non avrebbe mai lasciato in giro così tanti testimoni dei suoi crimini. Prese la mano di Estelle e sussurrò:

– Quanto è lontana la pistola dal divano?

Estelle lo guardò come per dirgli di non pensarci nemmeno, ma Adrien ovviamente non la vide.

– Allora, quanto è lontana?
– All’incirca due metri.
– Bene, mi alzerò per andare in bagno e andrò a sbattere contro Ruben cadendogli addosso, tu nel frattempo prenderai la pistola e la punterai contro quel cane di Jérôme, speriamo che Sebastian pensi al resto.
– È pericoloso!

Li interruppe Ruben.

– Cosa bisbigliate laggiù?
– Niente, Adrien mi diceva che se la sta facendo addosso, posso accompagnarlo in bagno?
– Va bene, ma tu resti sul divano, Jérôme accompagna il cieco in bagno.
– Non ho bisogno di essere accompagnato, basta che mi diciate dove si trova, ci posso arrivare da solo, intervenne Adrien.
– Bene, se è così, il bagno è in fondo al corridoio sulla sinistra, buona fortuna!

Adrien ci pensò un attimo, poi si alzò. Spero di non sbagliarmi. Fatti due passi sentì il respiro pesante di Ruben a pochi centimetri da sé, allungò il piede e, come se qualcuno gli fosse entrato in scivolata, lo fece volare all’indietro. Sbatté il ginocchio contro il tavolino e crollò addosso al boss, facendo cadere entrambi i dadi in terra. Uscirono il 3 e l’1. In quello stesso momento Estelle scattò in piedi e con un rapido movimento afferrò la pistola.

– Fermi così, restate immobili o vi ammazzo tutti e due, bastardi!

Jérôme non batté ciglio, il suo sguardo era sempre vuoto. Posò il bicchiere sul piano della cucina e si limitò a guardarla con un’aria di sfida. Ma Ruben non si sarebbe lasciato minacciare in questo modo. Afferrò da sotto le ascelle Adrien, che lo copriva ancora con il suo peso, e lo scaraventò contro Estelle, facendola cadere all’indietro. Un colpo partì contro il soffitto. Jérôme scattò nella loro direzione, mentre Sebastian sferrava un pugno deciso sulla mascella di Ruben. Partì un altro colpo, questa volta in mezzo al petto di Jérôme, che indietreggiò di un passo prima di accasciarsi a terra con un pozzo nello sterno. Lo sguardo sgomento di Sebastian incrociò quello di Estelle, sanguinante.

– Che hai fatto amore?

Ma non ebbe il tempo di finire la frase che il suo collo fu attraversato da un gelido fendente. La lama di Ruben aveva liberato una cascata, la carotide recisa, neanche il tempo di gridare. I suoi occhi si girarono all’indietro, non poté sentire lo sparo che vendicava la sua morte né l’urlo disperato di Estelle.

Parte sedicesima

Pubblicata sul Numero 27

“Ogni notte” di Nicola Lonzi

Rimase in ginocchio con lo sguardo fisso sul corpo riverso di Sebastian, impietrita dall’orrore della scena, dalla presa di coscienza istantanea della fine del suo mondo, della perdita, del vuoto. Le lacrime affogavano le ultime forze rimaste dopo il suo grido lacerante, le sue mani tremavano, la furia della vendetta aveva subitamente lasciato il posto a un sentimento di impotenza che le paralizzava la vista. Accanto a lei Adrien se ne stava dritto, apparentemente imperturbato, ma anche lui bloccato al suolo da un immenso macigno. Malgrado che la sua cecità l’avesse preservato dalla vista del sangue, aveva potuto sentirne l’odore acre penetrare nelle sue narici, attaccarsi alle mucose, riempire il suo stomaco di uno sgomento che mai aveva sentito prima.

In un attimo di lucidità riuscì a cacciare l’eco degli spari che ancora rimbombava nella sua testa e prese l’amica tra le braccia. Le accarezzò i capelli per qualche secondo dicendole che non era colpa sua, che aveva fatto la cosa giusta. Le sarebbe stato affianco per il resto della vita, l’avrebbe aiutata a sormontare quest’orrenda serata. La polizia però sarebbe arrivata a breve, dovevano riprendersi e fare in modo che gli inquirenti credessero alla legittima difesa. Estelle ascoltava a metà, in uno stato di ebrietà che le permetteva appena di distinguere la voce dell’amico. Adrien le prese il braccio, la fece alzare, tirò fuori dalla tasca un fazzoletto e glielo mise in mano, le disse di usarlo per cercare un’altra arma nelle tasche di Ruben, ne aveva sicuramente una. Estelle capì senza capire e si diresse meccanicamente verso il corpo morto del boss, incapace di distolgere lo sguardo da Sebastian. Non dovette cercare a lungo, incastrata tra la cintura dei pantaloni e la parte più bassa della schiena spuntava una pistola identica a quella di Jérôme. La prese con il fazzoletto e seguendo le istruzioni di Adrien si diresse verso Jérôme. Mise l’arma in mano al ragazzo facendogliela impugnare e poi la lasciò a terra, a qualche centimetro da lui.

– Racconteremo la scena esattamente com’è andata, con l’unica differenza dell’arma, dirai che è stato lui a puntarcela addosso per primo. Diremo anche che Ruben si apprestava a venirci incontro con il coltello, è per questo motivo che l’hai ucciso. Mi hai capito?
– Sì, l’arma, ucciso.
– Estelle, ascoltami è importante, non vuoi andare in prigione, vero? Non vuoi perdere anche i tuoi amici?

Estelle a quelle parole si risvegliò dal torpore, come se avesse sentito suonare una sveglia da qualche parte non lontano da lì.

– Claire! Dobbiamo proteggerla!
– Non pensare a Claire, se la caverà, pensa piuttosto alla storia che devi raccontare!
– Sì, ho capito, non ti preoccupare, ma dobbiamo proteggere Claire e il becchino, non devono poter risalire a loro, altrimenti finiranno in prigione per davvero.

Sapeva che il trasporto del corpo di Miguel Negredo implicava altri reati di cui non era ancora a conoscenza, ma che avrebbero sicuramente compromesso la sua amica. Doveva eliminare ogni traccia che potesse far risalire a Claire. Prese il telefono e cancellò tutte le ultime conversazioni, poi controllata da una forza inesplicabile si diresse verso Sebastian, guardò la sua testa piegata su un lato e la ferita profonda sul collo, le venne ancora da piangere, frugò nella tasca destra dei suoi pantaloni e ne tirò fuori un vecchio telefono da spacciatore. Niente internet, niente MMS, solo messaggi e chiamate, con due schede anonime comprate per 8 euro l’una in un mini market qualsiasi. Sempre proteggendosi con il fazzoletto cancellò i messaggi destinati a Nicolas, poi con cura ripose di nuovo il cellulare nella tasca. Crollò a terra, distrutta, come se avesse appena percorso una maratona, presa da un tremore alle gambe che le impediva di alzarsi. Il suo uomo era morto ed era colpa sua. Le lacrime che cadevano sul sangue provocavano un impercettibile suono e delle piccole macchie presto riassorbite dalla densità della tragedia. Strinse forte la mano di Sebastian, si scusò, lo baciò, maledisse quel giorno e quel cane di Ruben, imprecò contro la cocaina e Miguel Negredo, la cui comparsa aveva rovinato le loro vite. In quel momento le venne in mente il passaporto che aveva conservato nel suo zaino, ma era troppo tardi, le sirene risuonavano già nella strada.

Pochi istanti dopo tre agenti entrando videro la peggior scena del crimine della loro carriera, la prima per due di loro. La stanza odorava di ruggine bruciata, il colore del sangue aveva ricoperto le pareti e i mobili bianchi, all’entrata giaceva un uomo con un buco nel torace, mentre al centro accanto ad altri due corpi riversi tribolava e piangeva una ragazza dai capelli neri in preda a spasmi muscolari. In disparte, in fondo alla stanza, sostava immobile un non vedente, con la testa erta e i pugni stretti, la cui espressione di collera spaventò uno degli agenti. Il più anziano dei tre sembrò capire subito la situazione, chiese ai ragazzi se stessero bene e disse loro di star tranquilli, si sarebbero occupati di tutto, dovevano solo seguirli al commissariato per testimoniare dell’accaduto. Estelle fu fatta alzare e portata sul divano in attesa di un’ambulanza. Continuava a guardare Sebastian tenendo stretto lo zaino in cui si trovava l’ultima prova del passaggio di Miguel Negredo a Montpellier.

Parte diciassettesima

Pubblicata sul Numero 28

“E sogno di andar” via di Nicola Lonzi

Mentre il furgoncino entrava nel péripherique parigino, Claire ripensò alle gite fuori porta che faceva con la sua famiglia quando era bambina. Quella fitta corolla a tre corsie, non tanto tempo prima, era stata per lei un immenso affluente del mondo in cui tuffarsi per raggiungere destinazioni ignote al di fuori della bolla metropolitana. Nel ripercorrerla in senso inverso, provò invece una nota di nostalgia, ma soprattutto un greve magone che si allargava a mano a mano che si avvicinavano alla loro destinazione. Conosceva bene le strade della periferia est di Parigi, ma non aveva mai sentito parlare dell’impasse dei lillà e la cosa non la rassicurava. Il GPS indicava che mancavano 8 minuti all’arrivo quando varcarono il semaforo della porta di Montreuil. Nicolas riprese a parlare della sua vita da trasportatore funebre raccontandole qualche aneddoto divertente, capiva che Claire aveva bisogno di distrarsi. Le strappò una risata rumorosa e uno « scemo » che suonò nella sua testa come una dichiarazione d’amore. Quando arrivarono davanti al numero 14 dell’impasse avevano lo spirito leggero. Nicolas le prese la mano e la strinse nella sua. Le disse di stare seduta e di non preoccuparsi, ché al limite la signora Noiret sarebbe stata contenta di condividere con un giovanotto come lui la sua bara. Claire lo fulminò con lo sguardo e lasciando la presa della mano aprì la portiera.

– Vengo con te.
– Shhh, parla piano. Dai, ti prego, resta in macchina.

In quel momento una luce si accese da sopra il cancello e delle voci di uomini riempirono la stradina. Quando la porta si aprì, ne uscirono quattro ragazzotti che dovevano avere al massimo 16 anni dal passo deciso e l’atteggiamento da gangster. I loro occhi luccicavano nel buio e il loro vestiti emanavano un forte odore di marijuana.

– Ma tu non eri in classe con mia sorella? disse il più alto dei quattro, rivolgendosi a Claire.
– Non so, come si chiama?
– Sì, wesh, ti riconosco, sei l’amica di Mariam, sei a venuta a casa nostra qualche volta, wesh!
– Ma sì, Yakhya! Mi ricordo eccome, cavolo come sei cresciuto, non ti avevo riconosciuto. Che ci fai qui, non stai più a Bagnolet?
– E chi si muove, wesh, siamo condannati a stare in quel posto. Qui ci vengo per lavorare con i miei colleghi…
– Stai zitto cretino! intervenne quello che sembrava essere il più anziano del gruppo.
– Tranquillo, è una tipa a posto. Che ci fai qui? Non credevo che ti occupassi di queste cose?
– No, infatti accompagno il mio amico che mi sta dando uno strappo a ca Sto a Montpellier ora, sai? Ci si sta davvero bene, altro che Parigi!

A questo punto il più anziano si mise tra i due e con un gesto della mano interruppe la conversazione.

– Basta cazzate, cerchiamo di fare veloce. Tu sei il becchino mandato da Sebastian, giusto? Dov’è la coca?
– È nella bara, ho ordini di lasciarvela e prendere i soldi.
– Sì, sì, con calma, intanto apri il bagagliaio e verifichiamo che ci sia tutto.

Gli altri due ragazzotti dalla testa rasata e i muscoli ben in vista, si avvicinarono al retro del furgoncino, Nicolas indicò la bara in cui giaceva il corpo di Miguel Negredo e dette loro una mano a tirarla fuori. Nonostante i bicipiti e tricipiti fu necessario l’intervento di Yakhya per portarla all’interno della casa, sembrava riempita di mattoni. La sistemarono a pochi passi dall’ingresso e chiusero tutte le finestre, aggrottando la fronte per nascondere l’eccitazione del momento. Ma quando Nicolas aprì la cassa, tutti e quattro fecero un salto all’indietro.

– Che cazzo è questo?! urlò Yakhya.
– Che significa? Ci prendi per il culo? esclamò il più anziano.
– No, come stabilito vi ho portato Miguel Negredo, il tipo che si è mangiato la coca.
– Che cazzo dici? Che ce ne frega a noi di chi è questo pelato?
– Non vi ha detto niente Sebastian? È un « mulo ». Ha trasportato la coca direttamente dalla Colombia, ma non ha avuto fortuna, un sacchetto si è aperto mentre arrivava in Francia ed è morto. Tutti gli altri ovuli sono intatti comunque. Sebastian mi ha detto che ce ne dovrebbero essere 184, cioè 1,7 chili in tutto.
– È uno scherzo vero? Io non mi metto a sbudellarlo! intervenne uno dei due palestrati.

Nel frattempo il più anziano aveva tirato fuori una pistola dalla cinta.

– Va bene, ma restate qui con noi finché non abbiamo tirato fuori tutta la coca. E comunque questo lavoro lo dovete pagare, il prezzo non è più lo stesso.
– In realtà il lavoro è compreso nel prezzo, Sebastian mi ha detto che ve l’ha fatta pagare la metà proprio per questo. È una coca purissima, non se ne trova così facilmente a Parigi, disse Nicolas restando impassibile.
– Beh, puoi chiamarlo e dirgli che le condizioni sono cambiate, doveva avvertirci prima. Non vi diamo più di 30 000.
– Questo lo devi vedere direttamente te con lui, io non sono autorizzato a trattare. Hai il suo numero puoi chiamarlo.

Il ragazzo non replicò ulteriormente, tirò fuori dalla tasca il cellulare e selezionò il numero di Sebastian.

La suoneria antiquata del telefono risuonò per una decina di secondi nell’atrio del commissariato dove Estelle stava aspettando di essere interrogata. Tutti i presenti si guardarono intorno, poi rivolsero lo sguardo verso di lei quasi simultaneamente. Con dei singulti che sembravano uscire dall’oltretomba affatturava la stanza, piegando il tempo al suo malessere. L’agente più esperto prese la busta di plastica in cui erano stati raccolti tutti gli oggetti di Sebastian e la portò in un’altra stanza. Poi tornò verso Estelle.

– Signorina, le faccio le mie più sincere condoglianze. Mi dispiace per la trafila a cui dovremo sottoporla stanotte, ma capisce, dobbiamo sapere cos’è successo in quell’appartamento. Se non se la sente, posso chiamare personalmente la famiglia del defunto per avvertirli.
– La ringrazio agente, ma preferisco chiamarli io, poi non parlano francese, non la capirebbero.
– D’accordo, come vuole, le lascio il tempo di fare la telefonata e poi se non le dispiace dovrebbe seguirmi nell’altra stanza, le devo fare qualche domanda.

Estelle annuì e si allontanò di qualche passo per chiamare la madre di Sebastian. L’agente si avvicinò quindi ad Adrien.

– C’è qualcun altro che dovremmo avvertire? Il defunto abitava solo?
– No, ha cinque coinquilini, li chiamo io…

Tirò fuori il suo smartphone e pronunciò il nome di Momo, la chiamata partì automaticamente.

– Pronto Adrien, che succede?
– Ciao Momo, mi dispiace disturbarti a quest’ora, ma ho una brutta notizia da darti. Puoi venire al commissariato?
– Che è successo? È per via di Sebastian, che ha fatto ancora? Sta bene?
– Si tratta proprio di questo, è meglio se te lo dico a voce.
– Dimmi che è successo, ora!
– È morto.

Dall’altro capo ci fu un lungo silenzio, poi la chiamata venne interrotta. Momo lasciò cadere il telefono sul letto, poi iniziò a gridare, a prendere a pugni il muro, a liberare tutta la rabbia latente che risiedeva nel suo animo, i fantasmi di Marsiglia tornarono ad abitarlo con una violenza inaudita. Quando Rebecca, la coinquilina veneta, aprì la porta della sua stanza, lo trovò in ginocchio con la testa appoggiata alla parete, esausto, con la maglietta piena di lacrime e le nocche ricoperte di sangue. L’orologio segnava le 23 e 35.

Parte diciottesima

Pubblicata sul Numero 29


“Imagination (A Tea in Lisboa)” di Bartolomeo Pampaloni.

Il lavoro in più non sarebbe stato pagato, Yakhya e gli altri della banda l’avevano capito. Sebastian e i suoi colleghi non erano tipi da rinegoziare un contratto, soprattutto con dei pischelli come loro. Avrebbero pagato 40000 euro come stabilito, punto. Sapevano che rivendendo la roba ci avrebbero comunque guadagnato quattro volte tanto. Si misero al lavoro. I due palestrati tirarono fuori tutti gli attrezzi che riuscirono a trovare in casa, nell’ordine: un pappagallo, una pinza, una chiave inglese, un martello e un cacciavite con la punta spezzata. Il più anziano li guardò con un’aria di disgusto:

– Idioti, andatemi a cercare i coltelli!, poi girandosi verso Nicolas, questi due sarebbero capaci di provare a cambiare una ruota con un cucchiaio!

Nicolas non rispose, continuò a fissarli freddamente, con le gambe accavallate e la mano destra sul bracciolo del divano. Claire gli stava accanto senza stargli veramente vicino, il suo sguardo era perso nel vuoto: Nicolas era al corrente di tutto dall’inizio, sapeva della cocaina, della storia di Miguel Negredo, conosceva i rischi che stavano correndo e nonostante questo l’aveva coinvolta nella storia nascondendole i particolari più importanti. L’impaccio con cui aveva affrontato il controllo di polizia, la piccola crisi di pentimento sull’autostrada, l’aria ingenua con cui l’aveva corteggiata, erano stati solo degli espedienti? Arrivò perfino a chiedersi se quel passaggio in macchina fosse veramente frutto del caso, ma poi si ricordò di essere stata lei a trovare l’annuncio e a chiamarlo. No, forse si stava facendo dei problemi inutili, forse aveva voluto solamente proteggerla. Era confusa. Nicolas lo intuì.

– Ho bisogno di un po’ d’aria, Claire, andiamo a fumare una sigaretta fuori?
– Tu fumi?
– Ogni tanto.
– Va bene, andiamo.

Uscirono in giardino seguiti dallo sguardo dei quattro della banda, che iniziavano appena a spogliare il defunto dei suoi abiti ormai lacerati.

– Senti Claire, mi dispiace di averti nascosto la storia della cocaina, non volevo spaventarti, speravo di non doverti coinvolgere fino a questo punto. A quest’ora dovresti essere già a casa dei tuoi genitori.
– Sì, spaventarmi, figuriamoci! Piuttosto hai voluto proteggere i tuoi interessi, ancora una volta, ci conosciamo da meno di 10 ore e già non riesco a ricordarmi quante volte tu mi abbia mentito. Dimmi, perché dovrei crederti? Cos’altro mi stai nascondendo?
– Tante altre cose, ma niente che abbia a che vedere con questa storia, disse accendendosi la sigaretta.
– Cosa per esempio?
– Beh, tante cose…
– Dimmene una! esclamò avvicinando la testa a mo’ di sfida.

I loro sguardi rimasero sospesi per un decimo di secondo. Nicolas un po’ indeciso si abbassò verso di lei, Claire si alzò in punta di piedi, le loro labbra si sfiorarono, si inumidirono e continuarono a toccarsi per qualche lungo minuto. Si ritrovarono distesi sul prato, lei sopra di lui, con la voglia di spogliarsi e la consapevolezza di non poterlo fare. Si guardarono ancora.

– Forse dovremmo rientrare, disse Nicolas.
– Già, ma è talmente romantica la situazione là dentro…

Scoppiarono a ridere. Nonostante la scarsa voglia, si alzarono e rientrarono nell’appartamento.

– Allora, a che punto siamo? chiese Nicolas.

Il più anziano gli lanciò un’occhiata e scansandosi gli mostrò il lavoro fatto fino a quel momento. Una carneficina. Dei pezzi sparsi di Miguel Negredo erano finiti su tutti gli angoli del tavolo, per terra, sui vestiti dei quattro ragazzi; il sangue era colato ovunque sul pavimento; un odore immondo infestava la stanza. Nicolas aggrottò le sopracciglia.

– Di questo passo romperete tutti gli ovuli. È meglio se lasciate fare a me. Portatelo in bagno, avete una vasca?
– Sì, ce l’abbiamo.
– Bene, mettetelo lì dentro. Mi serviranno questi due coltelli, un paio di guanti da cucina e un bel po’ di cotone. Ne avete?
– Forse un po’ in bagno.
– Non basterà, andatene a comprare più che potete.
– Dove lo troviamo il cotone a quest’ora?
– Ci sarà un mini-market aperto in zona, che ne so, non mi interessa, se volete che vi recuperi tutta la cocaina vi conviene trovarne in fretta.

Con un gesto della mano, il più anziano invitò Yakhia a sbrigare la commissione, poi con l’aiuto degli altri due trasportò il corpo nella vasca da bagno. Nicolas li seguì con aplomb, le mani dietro la schiena. Si sfilò la maglietta e se la strinse intorno alla bocca e al naso per attenuare l’odore pestilenziale. Iniziò a ripulire il ventre del cadavere con un asciugamano, poi prese i coltelli e con una precisione chirurgica praticò delle incisioni nel basso ventre. Gli ovuli iniziarono a comparire, erano ricoperti da uno strato viscido e putrido, ma tutti intatti. La miniera d’oro era salva e gli occhi dei ragazzotti ridevano di gioia. Uno dei due palestrati baciò la fronte riversa di Miguel Negredo. Nicolas gli sorrise, poi tornò a pensare a cosa avrebbe potuto fare con tutti quei soldi se solo non avesse dovuto riportarli a Montpellier.

Parte diciannovesima

Pubblicata sul Numero 30


“In the Swamps #4” di Bartolomeo Pampaloni

L’interrogatorio non durò più di un’ora. Estelle era esausta, le ultime domande dell’agente erano cadute nel vuoto della sua stanchezza. Le parole le uscivano lente e pesanti, aveva la sensazione di essere stata messa a testa in giù per tirarle fuori. In effetti, tra le intenzioni del poliziotto vi era proprio quella di rigirarla, raggirarla, e infine, come si dice in gergo, di farle vuotare il sacco, ma il volto cereo della ragazza e le sue risposte laconiche l’avevano convinto a rimandare il tutto a un secondo momento. L’accompagnò quindi in una cella spiegandole che avrebbe dovuto passare la notte lì, «Mi dispiace, è la procedura », le disse richiudendo la porta. Sapeva che l’indomani il suo avvocato sarebbe arrivato a tirarla fuori e che nel giro di un’ora la competenza di quell’affare sarebbe stata affidata alla polizia criminale. Aveva sperato di estorcerle una confessione rapida, che gli avrebbe assicurato una certa fama e magari, con un po’ di fortuna, una ridente carriera, ma in fin dei conti era contento di non dover fare altre ore di straordinari che non sarebbero stati pagati: in meno di quindici minuti avrebbe raggiunto il suo monolocale a due passi dalla ferrovia, una birra veloce e poi a letto per qualche ora prima del prossimo turno.

Quando ritornò nell’atrio del commissariato però fu sorpreso da un baccano inusuale per quell’ora della notte, più di venti persone si accalcavano davanti a un suo collega intimorito. Riconobbe quattro giornalisti locali, l’ispettore Aymé della criminale e il giudice Renaud, gli altri non aveva idea di chi fossero. Quando uno dei giornalisti si accorse della sua presenza l’intero gruppo si girò verso di lui, partirono decine di scatti dalle macchine fotografiche, la gazzarra ripartì più forte di prima, tutti a invocare il suo nome, neanche fosse una star del festival di Cannes. In men che non si dica l’agente fu inghiottito dalla folla che si spostava come uno sciame da una parte all’altra della stanza, gli sforzi delle autorità presenti per riportare la calma risultarono vani, solo l’intervento dieci minuti dopo di due guardie carcerarie, ex legionari, permise all’uomo di tirare un profondo respiro di sollievo, anche se le sue grane non facevano che cominciare.

In tutta questa confusione un giovane dagli occhi ancora rossi e il cappellino del Montpellier Hérault in testa, ne approfittò per avvicinarsi a Adrien e scambiare qualche parola con lui: Momo veniva in soccorso ai suoi amici. Come prima cosa aveva informato le famiglie di Estelle e Adrien della situazione, c’era bisogno di un avvocato, in seguito aveva indossato le sue scarpe da tennis e era corso fino al commissariato. Vedendo il suo amico seduto in disparte, non aveva esitato ad andargli incontro.

– Adrien, sono Momo, dov’è Estelle?
– Non lo so, un agente doveva interrogarla, forse l’ha portata in cella.
– Come interrogarla? Deve parlare prima con il suo avvocato! Comunque ci ho già pensato io a chiamarlo, dovrebbe arrivare a momenti. Mi sono permesso di chiamare anche la tua famiglia, avevo il numero di tuo sorella.
– Da quando hai il numero di mia sorella? Vabbè lascia stare, hai fatto bene ad avvertirli, qui mi sa che andrà per le lunghe, sicuramente vorranno interrogare anche me. Senti, devi informare Claire e il becchino, ma non li chiamare col tuo telefono, potrebbero controllare le chiamate. Spiegale quello che è successo e di’ loro di non andare all’appuntamento, sempre che non siano già arrivati.
– Che c’entra Claire?
– Come non lo sai? Ha preso un passaggio da Nicolas, per caso, non sapeva della storia della cocaina.
– Porca puttana! Anche Claire? Lo sapevo che questa storia ci avrebbe rovinato, glielo dicevo a quell’idiota di Sebastian. Avrei dovuto fermarlo, invece mi sono limitato a tirargli un pugno e solo perché mi aveva risposto male, è anche colpa mia! (prendendosi la testa tra le mani) Non dovevo permettergli di fare affari con quel bastardo di Ruben.
– Momo, non c’entri niente, lo sai anche tu che quando Sebastian ha un’idea in testa è impossibile fermarlo. Torna a casa prima che fermino anche te e chiama Claire!

Mentre il giudice Renaud si dirigeva verso la cella di Estelle e la folla si impadroniva di nuovo dell’agente, Momo uscì furtivamente dal commissariato. In pochi minuti fu a casa, dove trovò Rebecca che lo aspettava in cucina bevendo una tisana. In altre circostanze avrebbe nascosto la verità sviando ogni domanda, ma quella sera sentiva il bisogno di sfogarsi, di raccontarle tutto. Si mise accanto a lei e prendendole la mano le spiegò velocemente la situazione. Quando ebbe finito le chiese di prestargli il telefono per una chiamata.

– Pronto Rebecca?
– No, Claire, sono Momo. Ascoltami, qui è successo un gran casino, Estelle e Adrien sono al commissariato e Sebastian è…Sebastian è morto.
– Cosa? No, no, non è vero…

Continuando a tenere il telefono in mano Claire uscì in giardino per evitare che gli altri sentissero la conversazione. Si accasciò a terra sconvolta dalla notizia. Momo continuò il resoconto, le disse di essere prudente, di non andare all’appuntamento.

– (in lacrime) Siamo già qui! Che dobbiamo fare?
– Ok, allora non dire niente di Sebastian, mi raccomando. Prendete i soldi e andatevene velocemente, non tornate a casa, trovate un posto dove nascondervi per qualche settimana.
– Ma dove?
– Dove volete, ma lontano da Parigi e Montpellier, dobbiamo aspettare che si calmino le acque. Mi rifarò vivo io.
– Che vuol dire? Quando ti farai vivo?
– Presto, non ti preoccupare.

Si asciugò le lacrime che le erano colate sul mento, respirò profondamente e rientrò in casa. Proprio in quel momento Nicolas si stava togliendo i guanti soddisfatto di aver recuperato tutti gli ovuli. I loro sguardi si incrociarono, sapevano entrambi che era il momento di partire.

Episodio finale

Pubblicata sul Numero  31


“Come il mattino passi” di Ilaria Cerutti

– Bene, qui il nostro compito è finito. Mettete i soldi nella bara e ce ne andiamo.
– Finito? Nella vasca c’è un cadavere con il ventre talmente sbudellato che dentro ci si potrebbe fare una sangria e tu mi dici che avete finito. Scordatelo, restate qui fino a che non lo abbiamo riempito! Disse il più vecchio del gruppo.
– Non posso aspettare che il vostro amico torni con il cotone, è fuori da quasi un’ora, chi mi assicura che non sia fuggito per la paura? Ti ricordo che il mio furgoncino è parcheggiato qui davanti, vuoi che i vicini inizino a chiedersi cosa ci fa un trasportatore funebre in una cazzo di viuzza di Montreuil a mezzanotte passata? Ragiona, è meglio se ce ne andiamo il prima possibile, e tra l’altro è quello che mi ha ordinato Sebastian prima di partire: «Il tempo di lasciare il corpo e prendere i soldi, non restare un minuto di più».
– Mi prendi per il culo? Cosa vuoi che ci facciamo con il cadavere? Sei tu il becchino, non io!
– Allora: lo riempite di cotone, lo ricoprite con un telo e lo imballate con dei sacchi della nettezza. Poi lo mettete in macchina e andate a bruciarlo da qualche parte lontano da Parigi, oppure chiamate qualcuno che possa farvi un lavoro pulito con l’acido, come vi pare, basta che sia una cosa rapida. Il tipo non ha documenti e nessuno lo reclamerà, se prendete le giuste precauzioni non correrete alcun rischio.
– E va bene, ma è l’ultima volta che facciamo affari con voi. Chiama quel cretino di Yakhia e digli di muoversi! disse rivolgendosi a uno dei palestrati.

Mentre il telefono squillava a vuoto, Nicolas si girò verso Claire. La vide immobile davanti alla porta, con le braccia conserte e la testa puntata contro una piccola macchia di sangue sul pavimento. Le sue palpebre erano rigonfie come una diga in procinto di collassare, al solo intendere il nome di Sebastian avevano rischiato di cedere e inondare la stanza di tutta la tensione accumulata. Fino a quel momento era riuscita a bloccare le lacrime, ma non se la sentiva di affrontare il suo sguardo, continuò a fissare la macchia. Nicolas non osò disturbarla.

– Allora? Non risponde?

Il palestrato scrollò la testa.

– Se non torna potete riempirgli la pancia con dei giornali e poi fissate il tutto con un po’ di nastro adesivo, ormai non ci dovrebbe essere più molto sangue (così dicendo sapeva di mentire, all’interno del corpo ce ne dovevano essere ancora come minimo sette litri). Adesso però non perdiamo altro tempo, mettete i soldi nella bara così ce ne andiamo.

Il più vecchio del gruppo fece un segno con la testa agli altri due, con un’espressione disgustata che voleva dire «andate a prendere i soldi e dateli a questi due cialtroni». Lui stesso si era stupito della mansuetudine con cui aveva accettato di prendere ordini da un becchino. In altre circostanze non avrebbe esitato a premere il grilletto contro il soffitto per ristabilire la gerarchia, ma in quel caso la posta in gioco era troppo alta e, nonostante avesse difficoltà ad ammetterlo, i trafficanti con cui lavorava Sebastian gli incutevano un timore che andava al di là della paranoia. Si limitò quindi a guardare i 40 000 euro in biglietti di piccolo taglio passare dalla sua borsa in pelle di marca italiana a quell’orrendo parallelepipedo di legno con l’imbottitura color crema ricoperta di pizzi di cattivo gusto. Si riconfortò pensando a quanto avrebbero guadagnato rivendendo gli ovuli nei bei quartieri parigini e alla moto che si sarebbe potuto comprare, già si vedeva cavalcare la sua Agusta F4 R312 rossa e grigia come Christian Bale in The Dark Knight. Non aveva ancora l’età per guidarla, ma era proprio quest’idea a eccitarlo. Congedò Nicolas con un «Buon viaggio» che suonò come un «Andate all’inferno», chiuse la porta e batté il cinque ai suoi colleghi: stavano facendo un bel lavoro.

Claire e Nicolas trasportarono la bara fino al furgoncino guardandosi negli occhi.

– Che succede Claire?
– Entriamo in macchina, ti spiego tutto.

Una volta nell’abitacolo gli raccontò della conversazione con Momo, di Sebastian e di Estelle rinchiusa in una cella del commissariato. Più andava avanti con il racconto più si rendeva conto della gravità della situazione, della voragine che si era aperta tra la sua vita di qualche ora prima e il suo futuro. L’irreparabile distruzione delle certezze precedentemente acquisite prendeva forma attraverso la sua voce, che diventava parola dopo parola sempre più grave e caduca. Riusciva a malapena a respirare. Nicolas la prese tra le braccia e la lasciò piangere per qualche minuto, prima di accendere il motore e guidare in direzione della sede dell’impresa familiare.

Imboccarono la discesa in direzione di Parigi passando da Bagnolet. Di fronte ai casermoni di cemento che sovrastavano la scuola elementare, Claire riconobbe il parco dove da piccola andava a giocare con le sorelle. Nel punto più alto, dove secondo suo padre c’era la più bella vista di Parigi della banlieue est,  qualche anno prima aveva ricevuto il suo primo «lo sai che sei davvero carina?», da un ragazzino foruncoloso che a dire il vero non le era mai piaciuto. Sbirciò questi ricordi con malinconia, sapeva che quel parco non l’avrebbe rivisto per un bel po’ di tempo. Continuarono a scendere verso la porta di Bagnolet ed entrarono nella rue Sesto Fiorentino dove abitava Mariam, una sua amica d’infanzia e sorella maggiore di Yakhia. Nell’oscurità del giardino del palazzo le sembrò di riconoscere la sagoma del ragazzo con uno zaino in spalla, ma fece finta di niente, ormai non avrebbe saputo cosa dirgli.

Quando il furgoncino arrivò nei pressi del cimitero del Père Lachaise erano le una passate. I morti si riposavano prima della prossima orda di turisti che si sarebbe accalcata all’apertura per vedere l’insipida tomba di Jim Morrison. Davanti al cancello un uomo in pantaloncini e felpa portava a spasso i suoi baffi alla Lemmy e un bassotto tedesco nano, mentre qualche metro più in là, sempre sul boulevard di Ménilmontant, i canti di un gruppo di giovani coprivano lo spleen bubolato degli allocchi. Nicolas aprì il cancello e parcheggiò il veicolo tra due carri funebri nuovi di zecca.

Mentre trasportavano la bara con i soldi all’interno del laboratorio si interrogarono su come e dove sarebbero potuti partire. Certo, con 40 000 euro in tasca avrebbero potuto fare il giro del mondo, ma non era consigliabile prendere l’aereo con così tanti contanti. Avrebbero potuto nasconderne una parte e portarsi dietro lo stretto necessario, Nicolas del resto aveva un po’ di risparmi.

– Sì, ma per andare dove?
– Potremmo andare in Africa per quel progetto di cui mi parlavi.
– In Namibia?
– Sì, poi da lì vediamo.
– Non so se è una buona idea, in realtà era un progetto così, non so molto della Namibia…
– Sarà un’occasione per scoprirla, guardiamo qual è il prossimo volo! Ci vuole un visto?
– Non ne ho idea.

Controllarono sullo smartphone di Nicolas, non avevano bisogno di nessun visto, il primo aereo per Windhoek sarebbe partito alle 9 di mattina, 30 ore di volo con scalo a Johannesburg a un prezzo esorbitante, ma non avevano scelta, decisero di acquistarlo.

– Hai il passaporto?
– Sì, per fortuna me lo sono portato dietro.
– Perfetto, io ho il mio. Ma sei sicura che i tuoi amici non parleranno?
– Ne sono certa, Momo ha parlato con Adrien, non diranno niente della storia della cocaina.
– E la famiglia di Ruben? La gente del quartiere? Prima o poi la polizia potrebbe risalire a noi, magari vorranno interrogarti. Come lo spieghiamo che siamo partiti in Namibia il giorno dopo l’assassinio del ragazzo della tua migliore amica?
– Diremo che non eravamo al corrente, che nessuno ci aveva avvertito.
– E se controllassero le chiamate?
– Senti, Nicolas, non lo so, ci penseremo se e quando succederà. In questo momento ho solamente voglia di dormire, sono esausta.
– Sì, scusa hai ragione, possiamo metterci qui sul divano, vado a cercare qualcosa per coprirsi.

Quando tornò con due giacconi a vento neri e un cuscino funebre, Claire già dormiva da qualche minuto. La coprì e si accucciò dietro di lei sussurrandole che sarebbe andato tutto bene e che sarebbero stati felici insieme.

Qualche istante dopo, a circa 750 chilometri di distanza, l’ispettore Aymé aprì lo zaino di Estelle trovandovi il passaporto colombiano appartenuto a Miguel Negredo. Lo sfogliò con attenzione per circa un minuto, poi lo appoggiò sul tavolo accanto agli oggetti trovati nelle tasche di Sebastian. Le indagini cominciavano nel verso giusto. Girandosi verso la cella vide la ragazza acciambellata in un angolo, i suoi occhi erano fissi, terrorizzati e catturati da chissà quali orribili pensieri, sul volto però aveva impresso un sorriso beato e tremendamente inquietante. Una corrente di gelo fuggevole gli rimontò la schiena fino a strizzargli le ossa.

(FIN)

 


 

Alessandro Xenos


 

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¹ “ma | re” è una serie fotografica dedicata al Poetto, la spiaggia cittadina di Cagliari, passata da essere il fiore all’occhiello della città a un vergogna per i cagliaritani. Nell’attesa che il piano di recupero del Comune prenda fine, Roberto Pireddu ha deciso di raccontare la storia del Poetto con i suoi scatti in bianco e nero. 


 


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