Numero 10

Le dita di una sola mano

di Donatello Cirone

 

Chi ha pane non ha denti di Elisa Saracino
Chi ha pane non ha denti di Elisa Saracino

Lo sportello A era aperto da poco più di dieci minuti e già la fila superava il miglio, l’ultimo, nel suo bagno, si lavava i denti. Il vetro opaco nascondeva le rughe sempre più marcate che emergevano, dal fondo  della vecchiaia, sul viso di Marika. Rita allo sportello I fischiettava come se si trovasse in riva al mare, a camminare su una battigia solitaria, gli occhi assenti, le mani che cercavano scartoffie sulla scrivania disordinata e sporca. Una serie di cartelli, attaccati come quadri in un museo,  proibivano, ammonivano, minacciavano, divieti di toccare quello o quell’altro, di fermarsi prima di una ipotetica linea blu, di non mettersi le mani nel naso, di non toccarsi il pacco, di bere solo acqua gassata. Era proibito portare con se tappi di bottiglia, lattine, fumogeni, lanciarazzi e fucili di precisione. Leggere tutti quei cartelli, in fondo, molto in fondo, aiutava a trascorre il tempo in fila. Allo sportello U Leandro Giobetti da Salme si divertiva a lanciare aereoplanini alla gente in fila, uno  si conficcò nell’occhio di un ultracentenario che cadde morto e sorridente. Le persone alle sue spalle esultarono, si abbracciarono, alcuni presi dalla felicità si ingravidarono a vicenda. Ibridi di una nuova specie ermafrodita, quelli davanti corrosi di invidia si auguravano un altro lancio e un’altra morte. Allo sportello T Grazia piangeva come una prefica mal pagata e la fila che si apriva davanti ai suoi occhi piangenti per emulazione faceva lo stesso, chi per un figlio andato via, chi per essere solo, chi per il fatto che sarebbe tornato a casa e avrebbe ritrovato il solito marito e non un bel under 30 a consolare le sue carni ancora lucenti. Lo sportello O -Pratiche da fascicolare- era una sorta di confessionale, il vetro separava Gilda da tutto il resto, la proteggeva dai complimenti, dai tocchi troppi affettuosi, dagli abbracci non voluti, nel buco del suo vetro tutti ci infilavano i racconti che volevano: l’avere poca gente in casa, l’essere amati troppo, il cane che pisciava sul tappeto, i tradimenti desiderati, le noie, i soprusi ricevuti, gli schiaffi dati. Tutti vomitavano senza sosta e a denti stretti quello che non riusciva più a tenere dentro, Gilda faceva quello per il quale era pagata, non ascoltava e a intervalli regolari sorrideva emulando una soubrette al suo ultimo spettacolo.


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