Feuilleton Il francese inesistente – Parte sesta
di Fabio Cardetta

“I cattivi non sanno di essere cattivi”
Le discussioni filosofiche sul Bene e sul Male in macchina stavano andando alla grande. Sarà stato per effetto dell’alcol o di quelle strane pastigliette bianche che l’aiutante polacco si era preso la briga di offrire al suo superiore.
Tub e Igor aspettavano nella loro Citroen scassata dietro un albero. Da quella posizione privilegiata potevano scrutare l’intero spiazzo in terra battuta, malcelato da alcune frasche, sul quale una decina di individui in nero stavano giocando al gioco della virilità. Ovvero sparavano a raffica contro un paio di bersagli standard e a caso contro una semplice lamiera di metallo. Le grida e gli spari si alternavano a ritmi sincopati, torcendosi e confondendosi come suoni infernali in una bolgia.
Tub mangiava patatine. Igor se l’era portato appresso perché conosceva molto bene tutta la feccia di Bito, conosceva nomi, origini e numeri di targa. Era uno dei suoi ispettori fidati, uno di quelli che menava a destra e a manca per fare il lavoro sporco: interrogatori, soffiate, spulciare negli archivi e robe di questo genere. Soltanto che Igor non sopportava granché gli appostamenti e aveva la fissa di dover riempire il tempo con giochi, battute, discussioni o semplicemente assumendo qualche sostanza che lo tirasse un po’ su. Così, mentre osservavano quei giovani rampolli gridare, buttarsi a terra, rotolarsi nella polvere, imitare Rambo e sparare esibendosi nei più astrusi e ridicoli virtuosismi – il giovane ispettore tracannava dalla bottiglia e divagava su quei criminali, su quelli di Bratislava e su quelli del mondo intero:
“Vedi quello là?… Si chiama Martin, ha già avuto problemi per spaccio e per un paio di gambizzazioni. Quello è un altro fissato per le armi, anche se non se le può permettere… Credo che, oltre a quella che sta usando, ne abbia un’altra. Quella, a occhio, mi sembra una Beretta automatica… Credo abbia anche un revolver, gliel’ho visto in mano una volta, dietro l’Harley, ci stavamo drogando con alcuni suoi amici e voleva fare il forte!”
Tub prese la palla al balzo:
“E di 38 special, non ne sai niente?”
“Mah, io tra quelli non ne ho mai visto una. Anche se la soffiata che t’ha fatto l’armaiolo mi sembra plausibile. Me ne aveva parlato qualcuno di questo fatto, che Bito s’era messo a distribuire i revolver come fossero noccioline…”
Gli spari nel frattempo s’addensavano, rumori metallici, scoppi sottili o più rumorosi, dai quali si poteva addirittura distinguere il calibro, secondo Igor.
“Che mi dici di quell’altro che spara da terra?”
“Oh, quello è proprio un coglione!… Si crede Dio in terra, solo perché va in palestra ed è pieno di tatuaggi. Come si dice nella Bibbia: Dio si fece corpo. O andò di corpo? Non ricordo. Comunque in quest’ultimo caso è sicuramente andato di corpo, e in abbondanza anche!”
Tub accennò un sorriso.
“Quell’ altro, invece, che spara con entrambe le mani, è un mezzo russo. Mi dicono che abbia servito nella milizia di Stato e si sia trasferito qua per salvarsi la pelle da una banda di georgiani a cui aveva tirato un brutto tiro. Non so come sia messo, ma dalle voci pare che abbia un arsenale. Quello di sicuro una 38 special ce l’ha!”
Tub tirò un’altra sorsata dal bottiglione di birra. Sembrava spazientito:
“A che ora finiscono di solito?”
“Non ne ho idea… Credo quando fa buio. Ormai sta tramontando.”
I dintorni erano deserti. Solo una larga strada periferica, che passava di fronte, si frapponeva tra le frasche dov’erano nascosti e il muretto che delimitava il poligono abusivo di Kulajka. Era semplicemente una vecchia cava, con annessa una fabbrica abbandonata, dove andavano a sparare ogni fine settimana. Cumuli di ghiaia, attrezzi arrugginiti, un impianto eroso dal tempo e circondato da rovine.
“Senti un po’” – fece Tub – “Secondo te, chi di quelli è il più morbido?… Intendo quello più facile da spennare.”
Igor comprese al volo la domanda.
“Secondo me dobbiamo buttarci su Dusan.”
“Perché?”
“Perché è un chiacchierone. Ed è entrato nel giro di Bito da poco, quindi non è molto legato ai loro patti d’onore e a tutte quelle boiate lì. Inoltre non ha le palle. E si venderebbe la madre per 5 euro, te lo posso garantire.”
Tub cercò di focalizzare fra il brulicare di giacche nere, quale di quelli fosse Dusan.
“Vedi, è quello lì, che spara un colpo ogni due minuti. Non lo vedi che è un pesce fuor d’acqua? Però viene sempre al poligono, credo già da un annetto. Cerca di farsi accettare dagli altri. Ed è fortunato perché ha la protezione di Marek e del cognato, che sono entrambi in curva dello Slovan. Quello è un leccaculo, che cerca di farsi accettare. Ma so che prende soldi anche da altri traffici, e a volte svia dalle linee dettate per farsi gli affari suoi… Insomma, un opportunista cagasotto. Credo che faccia proprio al caso nostro!”
Detto questo, Igor si calò in bocca un manata di patatine e un sorso di birra, accompagnandolo con un’altra pasticca. Tub non aveva ancora capito cos’erano quelle pasticche. Ma gli effetti non li sentiva granché, avvertiva solo una vaga eccitazione e una particolare voglia di agire. Sentiva il cuore battergli frenetico e il sangue pompargli nelle vene a flussi irregolari.
Solo una frase gli rimbombava nel cervello.
“…ha la protezione di Marek…”
Poi si riprese:
“Per Marek, intendi il buttafuori del Cuban?”
Igor annuì. Poi lanciò uno sguardo atipico:
“Lo conosci?”
“Sì, siamo stati colleghi.”
A quel punto, Igor sorrise e mostrò i suoi denti gialli:
“Magari ce l’ha lui la 38 special!” – fece sardonico.
“Non mi farei problemi,” – replicò stizzito Tub, tornando a guardare la strada. “Per me quelli sono tutti feccia. E la feccia va eliminata.”
L’omone s’era fatto improvvisamente tetro. Igor aveva avvertito quel drastico cambiamento d’umore, e aveva capito che non era opportuno approfondire. Decise di non mettere il dito nella piaga.
“Toh, stanno uscendo… Che facciamo?”
“Seguiamo il cagasotto.” – fece Tub, schioccando le dita.
La Citroen seguì docilmente la Skoda scassata e fumante di nero.
Rimasero a distanza di sicurezza per un po’, lungo lo stradone che costeggiava il lago e passava sotto il ponte. Poche macchine sparse. Furono costretti a seguirlo a distanza considerevole.
La macchina si fermò in un parcheggio deserto a un paio di chilometri da Kulajka. Igor sussurrò: “Sta andando a casa. Abita al quinto piano di quel palazzo.”
La Citroen era ferma proprio sulla strada principale su cui dava il palazzo, mentre Dusan era ancora nel parcheggio intento a chiudere la portiera, smanettando con le chiavi.
“Che facciamo? Scendiamo?”
L’aiutante tolse le mani dal manubrio e si girò verso Tub, dato che questo non osava proferir parola. Semplicemente l’omone stava lì, immobile, e guardava il malvivente procedere dalla macchina verso il portone.
Igor non staccava gli occhi di dosso dal suo capo. Ci vedeva una strana luce, in quegli occhi, forse quella stessa luce che aveva scorto quando gli aveva parlato di Marek.
Tub, in effetti, aveva dentro qualcosa… Tub continuava a guardarlo, quel Dusan, che con l’andatura scimmiesca si avviava verso la strada. E realizzò che c’era davvero qualcosa di strano dentro di sé: si rese conto che il cuore gli batteva sempre più forte e che il sangue gli bruciava nelle vene. Sentì uno strano formicolio alle mani, mentre i pensieri gli si avvicendavano nel cervello, accavallandosi e riproducendo i rumori, gli schianti, le esplosioni delle armi del poligono. E sentiva rimbombare quelle grida, quegli schiamazzi, rivedeva quegli schizzi di saliva che, fluttuando, uscivano dalle bocche schiumanti dei cecchini e si proiettavano nell’aria.
E quel Dusan che, quasi al rallentatore, continuava a muoversi, come una scimmia, quasi a volerlo provocare, quasi a volerlo schernire – pensò Tub nella sua mente in subbuglio.
Perché si muoveva così? Di cosa si vantava? Cosa voleva dare a vedere? Si sentiva un essere speciale? Eppure era solo feccia.
“Feccia dell’umanità”. Così si ripeteva Tub nel cervello.
“Feccia della peggior specie.”
Furono pochi secondi, poi l’omone si ricordò di essere in macchina.
Igor lo scrollò: “Che facciamo?”
Dusan stava attraversando la strada.
Tub si voltò verso Igor.
L’ altro lo guardò, come se avesse capito…
Tub annuì, con gli occhi spalancati.
“Non vorrai…”
Tub sorrise.
“Accendi la macchina.”
La macchina s’accese.
Igor aveva già puntato le ruote.
Dusan attraversò la strada.
“Mettilo sotto” – fece Tub.
Poi una pausa.
“Fallo sentire impotente… Come deve essersi sentito il francese prima di morire.”
Un tonfo.
Fecero il viaggio di ritorno in silenzio.
Col parabrezza macchiato di sangue.